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Antonio Manzo

I SANNITI NEL PERIPLO DI SCILACE

(in Annuario ASMV 2002, pp. 271-276)

 

 

 

Non sfuggì all’attenzione di Domenico Musti “che l’aspetto fondamentale del mondo sannitico, considerato nelle sue varie componenti e nel suo insieme, è proprio nella compresenza di affinità e diversità”[1]. Caratteristiche, queste, che, comunque sia, rendono conto d’una realtà effettiva, di cui sono consapevoli sopra tutto le fonti greche. Le quali mostrano di avere dei Sanniti nozioni molteplici e di varia scaturigine, senz’altro meno restrittive di quelle che hanno le successive fonti romane, ma anche le greche da esse dipendenti, e non tralasciano neppure di prendere in considerazione sistematica le loro tradizioni etnografiche.

Le notizie più antiche sui Sanniti, per quanto ne sappiamo, si leggono nel Periplo, attribuito a Scìlace di Carianda[2] e definito, come meglio non si poteva, “primo portolano del Mediterraneo”[3], manuali in cui, per intere generazioni, dovette confluire tutto un patrimonio anonimo di esperienze, fatte direttamente o raccolte in opere di varia natura, attinenti alla navigazione e alle conoscenze di geografia sia fisica sia antropica. Le peculiarità nautiche che la contraddistinguono e l’origine sperimentale che la caratterizza sono confermate dalla descrizione della morfologia costiera e dal paraplo, che conclude ogni territorio esaminato. Ma, così procedendo, nel nostro Periplo vennero ad ammassarsi tante notizie non sempre attendibili, talora poco pertinenti e a volte causa di fraintendimenti: eppure l’opera continuava ad essere di Scìlace. Infatti, i ‘manuali’, per loro stessa natura, sono destinati a restare col nome dell’autore, che li concepì e ne curò la prima edizione, anche se nel corso del tempo essi sono rimaneggiati, ristrutturati e aggiornati da altri a seconda delle nuove acquisizioni della cultura e delle esigenze via via poste dai loro utenti. Esempi ne siano il ‘Donato’, che significava ‘grammatica latina’ per antonomasia, o il ‘Colombo’, che designa ancora oggi il Manuale dell’ingegnere uscito nel 1877.

La tradizione del nostro Periplo è sintetica, ma  precisa, nell’ubicare dei Sanniti (Σαυνίται) sul Mar Tirreno. Dal paragrafo 11 apprendiamo che la ‘Saunitide’ occidentale andava dal territorio dei Campani (Καμπανοι), nome che allora si limitava ad avere esclusivamente un riferimento geografico, non già etnico e storico-politico[4], fino alla regione dei Lucani (Λευκανοι), che, stando al seguente paragrafo 12, occupavano una penisola (Ή δέ Λευκανια εστιν άκτή), corrispondente press’a poco all’odierna Calabria[5]. Il paragrafo 11 informa altresì che la navigazione costiera richiedeva mezza giornata[6], come a dire che il territorio sannitico prospiciente il Mar Tirreno si estendeva per circa 15 miglia[7] segnatamente dal fiume Sarno (Sarnus)[8] fino al fiume Sele (Silerus)[9]. Notizie, queste, che si accordano all’incirca con le informazioni fornite da un passo di Strabone, da cui, tra l’altro apprendiamo che “Pompei è sita presso il fiume Sarno, idoneo all’importazione e all’esportazione di mercanzie”[10], e lasciano capire come Scìlace assegni a tali Sanniti quella terra fertilissima, il futuro ager Picentinus[11], che Claudio Tolomeo[12] assegnerà senz’altro ai Picenti, mentre Strabone, che tiene verosimilmente conto della repressione sillana dell’82 a.C., fa notare che “essi vivono sparsi in borghi, cacciati dai Romani, poiché avevano fatto causa comune con Annibale”[13].

Passiamo ora ad esaminare il paragrafo 15, nel cui testo va anzitutto affrontato un problema di ordine testuale. La tradizione manoscritta del Periplo come è precisa e lineare nell’assegnare a dei Sanniti un territorio tirrenico compreso tra il Sarno e il Sele (§ 11), così “è anche molto coerente nell’indicare (ai parr. 15 e 16) la presenza di Δαυνίται sul versante adriatico e nella zona transappenninica”[14]. Questo è il punto di vista di Domenico Musti, la cui posizione relativa ad un problema testuale dei paragrafi 15 e 16 del Periplo coincide con quella di Jacques Heurgon[15]; difendono entrambi la lezione Δαυνίται del codice Parisinus Gr. 443 (P) e non accettano la correzione Σαυνίται, in favore della quale, tra gli altri, si segnalano E. T. Salmon[16] e Aurelio Peretti[17]. Il problema è soggetto a controversia e presenta non poche difficoltà, anzitutto perché Scìlace, in ogni caso, si riferisce a un ambiente sannitico di notevole estensione, presentato altresì in un testo, che potrebbe richiamare alla mente tutta una serie di elementi tali da ben lumeggiare tante affinità con il mondo dei Dauni e da far preferire la lezione Δαυνίται del Parisinus Gr. 443 (P), lezione che figura tre volte nel paragrafo 15 e una volta nel paragrafo 16.

Che si debba essere rispettosi della tradizione manoscritta, è un comportamento da osservare, ma con la dovuta accortezza e con la necessaria cautela, perché esso, nel nostro caso, non implica che si abbia a ritenere conforme alla realtà una sorta di estesa ‘Daunitide’ variamente suddivisa[18]. L’etnico Σαυνίται compare per la prima volta nel paragrafo 11 del nostro Periplo, che nei paragrafi 15 e 16 reca Δαυνίται, lezione che potrebbe essere mantenuta, dal momento che Scìlace colloca sotto il monte Orion (= Gargano) gli Iapigi. Va altresì considerato che Licofrone[19], il quale, in un passaggio della sua Alessandra (v. 1063) inerente al culto di Diomede, usa l’etnico Δαυνίται invece di Δαυνίοι. L’etnico Δαυνίται potrebbe tutt’al più essere un nome allusivo a quello dei Σαυνίται, frutto, come pur è presumibile, di una confusione o di un fraintendimento, in cui potettero incorrere degli stranieri, quali erano appunto i Greci, considerato che la loro gente di mare affidò per lungo tempo gli itinerari marittimi e quant’altro ad essi pertinente alla tradizione orale.

Stando così le cose, parliamo pure di territorio sannitico orientale, bagnato dal Mare Adriatico e descritto da Scìlace nel paragrafo 15 non diversamente da come aveva fatto per il paragrafo 11, e leggiamo: “Dopo gli Iapigi, a partire da monte Orion (= Gargano)[20] c’è il popolo dei Sanniti. S’impiegano due giorni e una notte[21] per costeggiare il loro territorio”[22]. Così A. Peretti riduce il § 15[23], nella cui parte centrale sono enumerate le tribù sannitiche secondo i loro dialetti e sono date informazioni sul territorio, che andava dal Mar Tirreno al Mare Adriatico. Cinque sono i nomi etnici, che sono trasmessi dal codice Parisinus Gr. 443 (P), ma con errori, per cui è difficile, per non dire impossibile, la loro identificazione, e con un’aggiunta etnografica, dalla quale apprendiamo che i Sanniti “occupano la zona fra il Mar Tirreno e l’Adriatico”.

Mi avvio a concludere non senza sottolineare come i paragrafi 11 e 15 inducano a ritenere che il nocciolo di notizie del nostro Periplo può ben risalire all’età arcaica e su di esso sono poi intervenute molte mani in tempi diversi. Il testo originario risulta spesso rimaneggiato, qua compendiato presentando un testo ridotto all’essenziale e là ampliato con aggiunte fors’anche superflue, non escluse notizie recenziori, finché arriviamo all’età di Filippo II di Macedonia (circa 382 a.C.-336 a.C.), allorquando il nostro Periplo assunse la sua forma definitiva. Allo Scìlace autentico interessava la navigazione; né certo somma perizia nel suturare materiale arcaico e materiale recenziore avevano quant’altri intervennero sul testo del Periplo, interessati com’erano alle esigenze dell’uomo di mare.

 

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[1] D. Musti, La nozione storica di Sanniti nelle fonti greche e romane, in Sannio, Pentri e Frentani dal VI al I sec. a.C. (Atti del Convegno 10-11 Novembre 1980) Edizioni Enne Matrice 1984, p. 71.

[2] Scìlace di Cariando ci è noto attraverso il Lexicon della Suda per un breve elenco di opere, tra cui il Periplo del Mediterraneo e del Mar Nero, tramandato nel codice Parisinus Gr.  443 (P) del sec. XIII. Il quale codice non è in buone condizioni a causa di una grossa lacuna meccanica e di tante piccole corruttele dovute ai punti di sutura delle inserzioni recenziori. Resta comunque il fatto che non possediamo un altro documento così ricco e così completo come il Periplo di Scìlace sulla geografia del Mediterraneo tra il VI e il IV secolo a.C.. E lo Pseudo-Scìlace non fu né un geografo esperto né un falsario sprovveduto, ma potrà indicare tutta una serie di anonimi cultori di geografia, più o meno informati, che hanno arricchito l’opera in tempi diversi.

[3] Questo è il sottotitolo di un grosso e affascinante libro, Il ‘Periplo’ di Scilace di Aurelio Peretti (Pisa 1979), che si propose di dimostrare la presenza di tutto un ricco filone di cultura geografica primitiva, utilizzato in seguito dai geografi, ma noi sappiamo bene come il geografo antico sia anzi tutto debitore allo storico. Per altro, cf. A. Peretti, La tradizione del ‘Periplo’ di Scilace, in  Filologia e forme letterarie. Studi offerti a F. Della Corte, I, Urbino 1987, pp. 261-285.

[4] Dal nome Campani sarebbe derivato il nome Campania; per altro, da una forma kappano- delle monete osche è lecito risalire a Kapu-ano, nome degli abitanti di Capua (od. Santa Maria Capua Vetere). In origine, la Campania è la pianura intorno a Capua, come ci informa Polibio (3, 91, 2) e sarà poi, per l’influenza romana, l’Agro Campano (cf. Liv. 22.15.4) e la Campania felix, la fertile e ubertosa pianura segnata dal Massico, dal Subappennino Campano, la Penisola Sorrentina e il Mar Tirreno.

[5] L’antico etnico Lucani (Lucani), donde Lucania, mostra d’essere l’adattamento latino di una voce del sostrato, come nel greco si ha Λευκανοι. Con Calabria si indicava la Lucania e il Bruttium dei Romani.

[6] Qui, come altrove, il testo del Periplo e la numerazione dei paragrafi sono conformi all’edizione di K. Müller (Geographi Greci Minores, I, Paris 1855, pp. 15-95). § 11: ΣΑΥΝΙΤΑΙ. Καμπανών δέ έχονται Σαυνίται και παράπλους εστί Σαυνιτών ήμέρας ήμισυ.

[7] Considerato che nel nostro Periplo una giornata di navigazione corrisponde a trenta miglia, ma si rilevano anche cospicue eccezioni, il territorio sannitico si sarebbe esteso per quindici miglia sulla costa tirrenica. Cf. E. T. Salmon, Il Sannio e i Sanniti, ed italiana, Torino 1985, p. 40.

[8] Molte le sorgenti che, sgorgando lungo il margine occidentale dei Monti Picentini, alimentano il fiume Sarno, che attraversa la fertile pianura costiera, chiusa tra il Vesuvio e i monti della Penisola Sorrentina. L’idronimo Sarnus (vedi, per esempio, Verg. Aen. 7, 738 e Plin. nat. hist. 3, 62) forse si riporta alla base indeuropea *ser- ‘scorrere’.

[9] Nei pressi del Monte Cervialto nasce il fiume Sele, che si versa nel Mar Tirreno. L’idronimo, ricordato come Silarus, Silerus e Siler (cf. Sil. 8, 582; Plin. nat. hist. 2, 193), è probabilmente connesso con il fitonimo latino siler ‘pianta flessibile’.

[10] Strab. 5, 4, 8, p. 247: Έπίνειον εστιν ή Πομπηία, παρά τώ Σαρνω ποταμώ παί δεχομένω τα φορτία καί εκπέμποντι.

[11] Nel 268 a.C. i Romani sottomisero i Picenti e ne deportarono una parte nel territorio della Campania, chiamato in seguito agro picentino, che si estendeva tra la pianura campana e il fiume Sele.

[12] Ptol. geogr. 3, 1, 8. Tolomeo fiorì nell’età degli Antonimi e la sua opera geografica contiene un’ampia sintesi delle conoscenze di tale disciplina nell’evo antico.

[13] Strab. 5, 4, 13, p. 251: Κωμηδόν ζώσιν άπωσδέντες ύπό ΄Ρωμαίων διά τήν πρός Άννίβαν κοινωνίαν.

[14] D. Musti, Il processo di formazione e diffusione delle tradizioni greche sui Daunii e su Diomede, in La civiltà dei Daunii nel quadro del mondo italico (Atti del XIII Convegno di Studi Etruschi e Italici, Manfredonia 1980), Firenze 1984, p. 97.

[15] J. Heurgon, Recherches sur l’histoire, la religione t la civilisation de Capoe préromaine des origines à la deuxième guerre punique, Paris 1942, pp. 47 e 50-52.

[16] E. T. Salmon, Il Sannio e i Sanniti, cit., pp. 40 e 52 n. 76.

[17] A. Peretti, Il ‘Periplo’ di Scìlace, cit., pp. 180-183. Ricordo anche K. Müller (Geographi Graeci Minores, cit., p. 24), il quale, rilevato in nota che la tradizione manoscritta reca al § 15 ΔΑΥΝΊΤΑΙ, Δαυνίται, Δαυνίτιδος e Δαυνίτας al § 16, scrive: “Corrupisse haec videtur sciolus qui quousque pateret Iapygia Scylacis haud considerans, ideoque non intelligens Daunios in ea comprehendi, mutando eos introduxit”.

[18] Alberto Grilli (I geografi antichi sulla Daunia, in La civiltà dei Daunii nel quadro del mondo italico, cit., pp. 83-92) muove dalla premessa che, nel mondo greco, il nome dei Dauni è evanescente e che, per i Romani, esso non esiste affatto, se non quando chi ne parla si riporta a una dotta fonte greca o sono i poeti, che amano ricorrere all’inconsueto, a farne uso.

[19] Il Lexicon della Suda attribuisce a Licofrone “la cosiddetta Alessandra”, definita “il poema oscuro”. Cf. K. Ziegler, PW XIII, coll. 2316-2381; St. Josifović, PW Supp. XI, coll. 888-930.

[20] Nei §§ 14-15 del nostro Periplo è citato l’Ώρων όρος -Gargano, che segna il confine degli Iapigi con i Σαυνίται-Δαυνίται. K. Müller (pp. 22 s.) ha così emendato la lezione Άρίον del codice Parisinus Gr. 443 (P) sulla base di considerazioni litografiche e tenuto conto della forma arcaica di Ώαρίον che lo scriba dovette fraintendere.

[21] Cf. E. T. Salmon, Il Sannio e i Sanniti, cit., pp. 40 e 52 n. 78. Stando ad Erodono (4, 86, 1) in una notte non si percorreva la stessa distanza che si percorreva in un giorno.

[22] Scyl. § 15 Müller: ΣΑΥΝΊΤΑΙ. Μετά δέ Ίαπύγας ΄από Ώριωνος ΄όρους Σαυνίται ΄έθυος έστίν. Παράπλονς τής Σαυνίτιδος χώρας ΄ημερών δύο καί νυκτός.

[23] Cf. A. Peretti, Il ‘Periplo’ di Scìlace, cit., p. 183 e le pp. 180-197 consacrate ad illustrare il § 15.