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Nicola Mancini

 

MUNIFICENZA PRIVATA NEL MEDIO ED ALTO VOLTURNO

 

(in Annuario ASMV 2004/2005, pp. 163-169)

 

 

Trascorso il secolo delle guerre civili, dall’avvento di Augusto in poi, la ricca ed ambiziosa nobiltà dell’Urbe e delle province, seguendo l’esempio dei più grandi imperatori, si impegnò in attività munifiche volte al benessere della comunità.

A tal riguardo la maggior parte delle notizie di cui disponiamo ci viene dai documenti epigrafici che ci informano della liberalità di facoltosi cittadini che si prodigavano per la manutenzione e riparazione di opere pubbliche rovinate dal tempo, o per apportare modifiche ad altre. Né mancavano, in questa munificenza , le costruzioni ex novo, come strade, bagni, fontane, portici, che trasformavano l’aspetto delle città e miglioravano la qualità della vita. Altre volte, a ricordo di qualche evento particolare, venivano offerti ai cittadini combattimenti di gladiatori, recite, o banchetti pubblici.

Indubbiamente questi generosi ed eminenti personaggi traevano dalla loro prodigalità una grande popolarità e, contemporaneamente, mandavano ai posteri il ricordo di se stessi, apponendo il loro nome alle opere, per le quali, poi, non mancava il ringraziamento dei cittadini che provvedevano ad onorarli con statue o altre immagini esposte al pubblico.

 

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TELESIA

Una buona presenza di questa munificenza privata si trova anche nelle città del Medio ed Alto Volturno, dove alcune epigrafi riportano i nomi dei benefattori locali e le opere delle quali si sono fatti benemeriti. Tra le città che abbiamo sottoposto alla nostra indagine la colonia di Telesia si segnala per il numero di questi munifici cittadini, tra i quali i più in vista sono i duoviri Quinto Fillio Rufo e Quinto Agrio Celere, i quali fanno costruire, a loro spese, uno stabile per la lavorazione della lana.(1)

Quindi, al momento di mettere in funzione l’officina, dichiarano di rinunciare al canone di locazione, ma fanno obbligo agli imprenditori di utilizzare detto canone per offrire ai cittadini di Telese mulsum et crustum, cioè vino mescolato con miele, e focacce, in un banchetto pubblico da tenersi, ogni anno, alla data del 23 settembre, dies natalis dell’imperatore Augusto. Doveva trattarsi di un canone abbastanza elevato, cui doveva corrispondere un importante stabilimento dove trovavano lavoro un buon numero di operai.

Altrettanto pratici erano stati altri due magistrati, i praetores duoviri Lucio Mummio e Caio Manlio, i quali, dovendo ringraziare concretamente i cittadini che li avevano eletti, preferirono far costruire, sulle mura della città, due nuove torri, anziché sprecare danaro nei ludi da offrire alla plebe. E’ probabile che la decisione fu poco gradita al popolo, ma ebbe la piena approvazione dei decurioni che la convalidarono con un apposito decreto.(2)

Tra questi benefattori troviamo anche Lollia Quarta che si preoccupò di agevolare l’istruzione dei suoi concittadini ed, a tale scopo, lasciò agli amministratori di Telese una somma da utilizzare, dopo la sua morte, per l’acquisto di una scuola, una casa ed alcuni giardini.(3)

Del porticato pubblico ebbe invece pensiero Lucio Ottavio Caritone, il quale, nel 13 a. C., lo abbellì con una scultura rappresentante due divinità, Libero e Priapo.(4)

Gladiatori e belve africane aveva invece offerto il patrono della città, Tizio Fabio Severo, il quale aveva anche provveduto a riparare e a riportare alla primitiva efficienza tutte le opere pubbliche della città.(5) In compenso i cittadini gli avevano innalzato una statua, mentre Lucio Manlio Rufione ebbe la sua immagine scolpita su uno scudo in ringraziamento di alcune rappresentazioni teatrali e di un banchetto pubblico.(6) In quell’occasione la popolazione venne divisa in due categorie: per i coloni ed i loro figli venne imbandito un banchetto (epulum), mentre agli abitanti (incolae) venne offerto mulsum et crustum. Tale divisione è ripetuta nella dedica dove si legge coloni et incolae in clupeum contulerunt, il che ci fa certi che non vi era contrapposizione tra i due strati sociali in quanto i primi discendenti dai coloni mandati da Roma, ed i secondi progenie diretta della popolazione autoctona.

Anche un tal Castore, Augustale, offrì ai Telesini uno spettacolo di gladiatori in ringraziamento del bisellium, concessogli dall’ordo decurionum di Telese.(7) Il bisellium era una sedia a due posti con la quale il personaggio che la godeva poteva occupare un posto privilegiato in occasione di spettacoli pubblici.

Ricordiamo anche il pretore duoviro Vespicio Rufo, del quale però non conosciamo l’oggetto della sua beneficenza.(8) Infine abbiamo un ignoto patrono di Telese, il quale, costruita un’opera di pubblica utilità, al momento di dedicarla fece distribuire del danaro a tutto il popolo ed ai decurioni. In quello stesso giorno offrì ai cittadini uno spettacolo di ludi. In ringraziamento ne ebbe una statua che i Telesini gli eressero in apposito luogo stabilito dai decurioni, certamente nella piazza principale del paese.(9)

 

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ALLIFAE

Per Allifae abbiamo solo due munifici personaggi, Lucio Fadio Piero e Lucio Apuleio Niger. Il primo, chiamato a far parte dei decurioni, offrì agli Alifani uno spettacolo nell’anfiteatro, dove i presenti poterono vedere combattimenti di gladiatori e scene di caccia a belve africane. Pochi mesi dopo, eletto duoviro, richiamò la plebe al circo per farla assistere ad altri duelli di gladiatori ed ad altre cacce, cui seguirono, dopo un anno, degli spettacoli teatrali. In compenso gli Augustali ed il popolo alifano gli innalzarono una statua.(10)

Il secondo, Apuleio Niger, addetto alla manutenzione delle vie, (curator viarum sternendarum) fece costruire  un tratto di strada lungo diecimila piedi, pari a circa tre chilometri.(11) Quest’opera è ovviamente da ricercare fuori del perimetro urbano di Alife, dove la succitata lunghezza è riscontrabile nel tratto di strada che va dall’odierno Torrione a Porta Napoli. Si trattò probabilmente di eliminare un antico percorso verso la porta meridionale della città per dare un proseguimento rettilineo al decumano che attraversava l’abitato da est ad ovest.

 

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CAIATIA

A Caiatia troviamo Quinto Visellio Gallo e Marco Gavio, duoviri quinquennali, che  fanno costruire i marciapiedi intorno alla piazza del foro (12). Questi due benefattori dovrebbero appartenere ad un’epoca anteriore al regno di Nerone, (54 - 68 d. C.), mentre è del 121- 122 l’intervento dell’imperatore Adriano che, a sue spese, fece rivestire, con marmi tratti dalle cave di Cubulteria, un tempio dedicato ad una divinità della quale l’iscrizione ha perduto il nome.(13)

Alla gens Gavia appartennero anche altri due munificentissimi benefattori di Caiatia, padre e figlio, le cui opere di beneficenza non sono citate nelle dediche poste sotto le loro statue. Si tratta di Quinto Gavio Fulvio Tranquillo, che, dopo essere stato questore a Roma, governò, con la stessa carica, la Gallia Narbonense. Il figlio invece, Quinto Gavio Fulvio Proculo, fu tribuno militare, prima della quindicesima coorte dei volontari e poi dell’VIII legione Augusta che stanziava in Africa.

 

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RVFRAE

Anche il piccolo vicus di Rufrae ebbe il suo benefattore in Marco Volcio Sabino, che vi portò l’Acqua Giulia, meritandosi una statua che i Rufrani Vicani si affrettarono ad innalzargli.(14)

 

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VENAFRVM

Venafro ebbe benefattori generosi e molto ricchi, al punto che due di essi si accollarono metà della spesa necessaria per la costruzione di importanti opere pubbliche. Uno, tal Vibius, dette il suo danaro per la costruzione dell’anfiteatro; l’altro, di cui l’iscrizione non ci ha conservato il nome, offrì il suo cospicuo contributo alle opere di abbellimento della città (ad ornandam Coloniam Augustam Iuliam Venafrum).(15)

Alla stessa gens Vibia appartenne Quinto Vibio Rustico, al quale i Venafrani innalzarono una statua in ringraziamento di uno spettacolo gladiatorio che quel personaggio aveva promesso in voto per la perpetua salute della famiglia di Augusto. Voto probabilmente espresso in ringraziamento delle concessioni che l’imperatore Augusto aveva fatto alla colonia venafrana.(16)

Un combattimento di gladiatori fu anche offerto da un ignoto personaggio venafrano, forse di origine libertina, in occasione della sua seconda elezione a sexvir dei sacerdoti di Augusto. Lo aveva già concesso in occasione della sua prima elezione a quella stessa prestigiosa carica.(17)

Importante fu anche l’impegno del duoviro Publio Lucanio Quadrato che fece costruire un bagno pubblico,(18) mentre la munificenza di Quinto Veronio, volta genericamente all’acqua (aquam de suo) sembra essersi manifestata fuori di Venafro, in quel di Capriati, dove è stata rinvenuta l’epigrafe.(19) La mancanza del cognomen ci porta ad un’epoca anteriore a Nerone.

Nella piazza di Venafrum vi erano anche le statue di due rettori del Sannio: quella di Mecio Felice, in ricordo dei tanti benefici avuti dai suoi antenati, e quella di Autonio Giustiniano per le grandi opere di riparazione eseguite in città nel IV secolo(20), dopo le devastazioni del terremoto del 346 d. C. Infine abbiamo l’aruspice Lucius Egnatius Mamaecianus che fa costruire un porticato ed i relativi sedili.(21)

 

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AESERNIA

Il municipio di Aesernia ebbe il suo più grande benefattore in Lucius Abullius Dexter che a sue spese e sul suo terreno fece costruire il macello, il porticato ed il chalcidicum,(22) ornandoli di marmi preziosi. Questo personaggio è ricordato in due iscrizioni incise in bellissime lettere su una tavola marmorea che nel secolo scorso si trovava ad Isernia, nella vasca dell’ex convento di S. Maria, ora caserma militare.(23)

La gens Abullia ci è nota ad Isernia per altre tre iscrizioni, tra le quali una ci si offre particolarmente allentante per sostenere l’ipotesi che il personaggio in essa onorato altri non sia che il suddetto benefattore. Si tratta di un Lucius Abullius Dexter Caius Utius Celer, vissuto ai tempi di Adriano (117 – 138 d. C.) e di Antonino Pio (138- 161), quando rivestì in Aesernia tutte le cariche municipali per concluderle come patrono della città. Dai suddetti imperatori ebbe, dal primo la cura della Via Cubulterina, e dal secondo quella della Via Allifana, come si legge nell’iscrizione posta sotto la statua la cui erezione i decurioni avevano deliberato in una seduta pubblica tenuta il 13 dicembre di un anno da ricercare durante il regno di Antonino Pio, quando erano consoli Iuliano et Casto, tutt’oggi sconosciuti ai moderni elenchi consolari.(24)

Queste grandi opere volute e pagate dalla liberalità di Abullio Dexter furono poi distrutte dal terremoto del 346 che aveva danneggiato anche Venafro. Anche qui vi fu il pronto intervento di Autonio Giustiniano che, insieme con Silverio, suo figlio, le fece riedificare a sue spese, con la collaborazione  dell’amministrazione pubblica che offrì tegole e colonne. Ed è proprio su una di queste colonne che ci è giunta l’iscrizione che ricorda la munificenza di questo rettore operante nel Sannio appena dopo la catastrofe del terremoto. (25)

Vanno infine ricordati i quadrumviri quinquennali, Marcus Rahius Quartus e Lucius Ofilius Rufus che, col proprio danaro, fecero lastricare una strada.(26)

 

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(1) C. I. L. IX, 2226

(2) C. I. L. IX, 2235

(3) C. I.L.  IX, 2231

(4) C. I. L. IX, 2197

(5) C. I. L. IX, 2238

(6) C. I. L. IX, 2252

(7) C. I. L. IX, 2249

(8) C. I. L. IX, 2239. Spesso, quando l’azione munifica era volta ad una costruzione in muratura, si inseriva in essa l’iscrizione recante il nome ed i titoli del benefattore, senza indicare la natura del manufatto che era più che evidente all’occhio del passante.

(9) C. I. L. IX, 2243

(10) C. I. L. IX, 2350

(11) C. I. L. IX, 2345

(12) C. I. L. X, 4586

(13) C. I. L. X, 4574

(14) C. I. L. X, 4833

(15) C. I. L. X, 4892 e 4894

(16) C. I. L. X, 4893  Summa montium iure templi Idaeae ab Augusto sunt concessa. Dal Liber coloniarum  di Frontino, pag. 239

(17) C. I. L. X, 4913

(18) C. I. L. X, 4884.

(19) C. I. L. X, 4890: Q(uintus) Veronius / C(ai)  f(ilio) Ter(etina tribu) / aquam  / de suo).

(20) C. I. L. X, 4863 e 4858.

(21) Annee Epigraphique, 1973, 174.

(22) Ancora non si conosce la natura del chalcidicum, ma potrebbe essere un grande ambiente atto a soddisfare le esigenze dei frequentatori del porticus.

(23) C. I. L. IX, 2653, 2653a

(24) L’iscrizione, riportata nel C.I.L. IX al n° 2655 senza una precisa localizzazione; è tornata alla luce dopo il 1980, durante i lavori di restauro della chiesa di S. Maria delle Monache. Il nuovo testo, pubblicato dall’Année Epigraphique del 1999  n° 546, completa quello del C. I. L. e ci dà notizia delle due curae viarum del nostro personaggio.

(25) C. I. L. IX, 2638.

(26) C. I. L. IX, 2667.