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Lavori forestali sul Matese

 

 

del dottore forestale Tito Angelini

libero professionista

 

 

Reporting e considerazioni su lavori fatti eseguire dalla Comunità Montana del Matese con finanziamento CEE.

L’Autore ha prestato la propria consulenza tecnica all’Impresa esecutrice.

 

Premessa

A seguito dell’allargamento alla Spagna ed al Portogallo, che aveva portato ad un ulteriore aggravio del divario tra le agricolture ricche del centro-nord Europa, e le agricolture mediterranee, la Comunità Europea, nel 1985, ha emanato il Regolamento 2088, relativo ai Programmi Integrati Mediterranei (P.I.M.).

Obiettivo di tali PIM è il miglioramento delle strutture socio-economiche delle regioni mediterranee.

Una larga fetta del territorio italiano rientrava nel campo di applicazione geografica dei Pim. Le fonti di finanziamento previste per la realizzazione dei programmi erano:

- il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR);

- il Fondo sociale europeo (FSE);

- il Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG), sezione orientamento;

- i prestiti della Banca europea per gli investimenti (BEI).

Tra le azioni tendenti a conseguire gli obiettivi dei PIM rientrava anche la forestazione ed il miglioramento delle superfici destinate alla foresta.

La Comunità Montana del Matese, stante la situazione di abbandono e le emergenze naturalistiche ed idraulico-selvicolturali di ampie zone del proprio territorio, nel 1990, ha fatto redigere il progetto esecutivo dei lavori di miglioramento forestale ed opere connesse.

Gli obiettivi generali dell’intervento miravano a:

- favorire l’elevazione del tenore di vita delle popolazioni montane;

- difendere e migliorare l’ambiente forestale sia attraverso interventi diretti sulle formazioni boschive esistenti che sui torrenti al fine di fermare il dissesto idrogeologico in atto;

- rallentare l’esodo delle popolazioni residenti che non trovano nella zona adeguate condizioni di occupazione.

 

 

IL PROGETTO

Gli interventi, consistenti in:

1) Miglioramenti forestali:

- diradamento di moderata intensità di giovane fustaia di faggio proveniente da conversione;

- conversione di cedui di faggio in alto fusto mediante matricinatura intensiva.

2) Opere connesse:

- sistemazione fossi di scolo e drenaggi.

3) Viabilità forestale:

- ripristino e costruzione di piste forestali.

4) Protezione dei boschi contro gli incendi,

 interesseranno una vasta area definibile come “Alto Matese” che si estende da Bocca della Selva a Gallo Matese.

 

Miglioramenti forestali

L’area prescelta ricade nei comuni di Piedimonte Matese (complesso di Serra di Mezzo e Acerone) e di Gallo Matese (località Fontana dei Palombi, Valle Asinara e Valle delle Candele).

La zona di Serra di Mezzo (in sinistra idrografica del Torrente Cusanara, fino ai confini con Castello del Matese), con esposizione generalmente a Nord, altitudine variante tra m. 1.050 e 1.605 s.l.m. è coperta da boschi provenienti da conversioni del ceduo mediante matricinatura intensiva. Gli ultimi interventi risalgono a circa 40 anni or sono.

La faggeta si presenta a densità difforme, rendendosi così indispensabili interventi consistenti in tagli intercalari e sfolli al fine di ridurne la densità.

Gli sfollamenti sono interventi precoci, da attuarsi su un soprassuolo socialmente indifferenziato, consistenti nell’eliminazione degli individui difettosi e dannosi, operando con criterio essenzialmente numerico.

Ove il soprassuolo è differenziato si interviene con i diradamenti ordinari, asportando i soggetti in soprannumero, favorendo così lo sviluppo degli alberi migliori.

Si prevede di asportare, mediamente, circa 640 q/Ha (pari a mc 64) di legna su una superficie di circa 280 ettari (vedi tavola 1).

TAVOLA 1 (dal progetto esecutivo, modificata)

                   COMUNE DI PIEDIMONTE MATESE

                   RIEPILOGO DELLA MASSA LEGNOSA

 

 

 

In Comune di Gallo Matese l’attuale forma di governo del bosco oggetto dell’intervento presenta aspetti decisamente negativi. Il ceduo non è più economicamente conveniente, per cui si prevede di trasformarlo in alto fusto.

Dopo l’invecchiamento, favorito dal pluridecennale periodo di abbandono, si asporta la totalità dei polloni dominati e le matricine più vecchie ed eccessivamente aduggianti; si lasciano, per ogni ceppaia, uno o due polloni scelti fra i dominanti, di buona forma forestale e più promettenti.

Il rilascio di almeno un pollone tende a far perdere alla ceppaia, con l’invecchiamento, la facoltà di moltiplicarsi per via agamica.

I polloni da rilasciare vanno distribuiti sul terreno in modo uniforme.

Mediamente si prevede di asportare circa 570 q/Ha (pari a mc 57) di materiale legnoso su una superficie di circa 200 ettari (vedi tavola 2).

TAVOLA 2 (dal progetto esecutivo, modificata)

                   COMUNE DI GALLO MATESE

                   RIEPILOGO DELLA MASSA LEGNOSA

 

 

 

Il materiale legnoso proveniente dai tagli resterà a disposizione dei Comuni legittimi proprietari.

 

Sistemazione fossi di scolo

Molti dei torrenti che solcano le pendici hanno percorsi brevi e ripidi e sezioni nettamente insufficienti a contenere le piene periodiche, cosicché, spesso, il materiale solido da essi trasportato dalle alte pendici o scavato dalle sponde, esonda nelle pianure circostanti, arrecando notevoli danni alle colture.

Per quanto sopra si prevedono gabbionate per la difesa delle sponde maggiormente interessate da fenomeni di erosione e costruzione di briglie a secco.

Si prevede di intervenire sui seguenti fossi:

1) Fosso delle Tornare; 2) Rava Matese; 3) Guado della Cannella; 4) Vallone la Gola; 5) Vallone Cusanara - Fosso Acqua dei Corvi; 6) Vallone di Pretemorto; 7) Rava La Noce; 8) Capo la Sava. Il tutto per un bacino imbrifero di circa Ha 204.

 

Protezione dagli incendi boschivi

A tale scopo si prevede l’acquisto di due automezzi fuoristrada da adibirsi, uno al trasporto del personale delle squadre antincendio, l’altro all’assemblaggio e trasporto di gruppo serbatoio-motopompa per le operazioni di spegnimento.

E’ previsto, altresì, l’acquisto di apparati radio rice-trasmittenti per consentire il costante collegamento delle squadre antincendio tra loro e con la base operativa.

 

Viabilità forestale

Per lo smacchio dei prodotti legnosi, sono state aperte, negli anni, numerose piste a fondo naturale che, col passare del tempo, conseguentemente all’azione di scavo delle acque meteoriche ed al franamento delle scarpate, si presentano in condizioni di assoluta intransitabilità. Per ovviare a tanto, si è prevista la sistemazione, tra tutte le piste esistenti, della pista in località “Capo Lete”, in Comune di Letino e della pista in località “Neviere-Valle dell’Acero”, in Comune di S. Angelo d’Alife.

Si prevede:

1) leggero allargamento, ove necessario, della sede stradale da 2 a 3 metri;

2) ricarica con misto di cava di spessore di cm 20 e compattazione;

3) contropendenza a monte della pista per raccogliere le acque;

4) creazione di tagliacqua trasversali;

5) profilatura della scarpata;

6) creazione di tombini, ove necessario, per favorire lo smaltimento delle acque.

 

 

ESECUZIONE DEI LAVORI E CONSIDERAZIONI

Tra il 1990 ed il 93, il progetto è stato vagliato dai competenti organi regionali che hanno anche richiesto alcune modifiche, e, nel dicembre 1993, munito di tutte le autorizzazioni e pareri occorrenti, esso è stato consegnato all’Impresa aggiudicataria dell’appalto dei lavori.

Esaminiamo caso per caso le singole voci dell’opera.

 

Miglioramenti forestali

Per maggior chiarezza di interpretazione si ricorda che i boschi possono essere gestiti (“governati”, con termine tecnico) sia con la modalità del “ceduo” che con quella della “fustaia” ( o “alto fusto” che dir si voglia).

Il bosco ceduo (dal latino caedo = taglio) è formato essenzialmente dai cosiddetti “polloni”, alberi che si originano dalle gemme presenti sulle ceppaie viventi rimaste sul terreno dopo il taglio del bosco.

Non essendo necessario il seme, si parla di bosco proveniente da rinnovazione agamica. Il governo a ceduo è, quindi, applicabile solo alle specie capaci di sviluppare gemme dopo il taglio.

Quando il bosco ha raggiunto il “turno”, ossia l’età giusta per il taglio, viene abbattuto, nel periodo autunno-invernale di riposo vegetativo, e le ceppaie provvederanno a ricostituirlo.

I turni di taglio hanno durata breve perché, oltre un certo numero di anni, le ceppaie perdono la facoltà pollonifera.

Nelle nostre zone, dai boschi cedui si ricava, essenzialmente, legna da ardere.

La fustaia è formata da alberi che si sviluppano dalla germinazione dei semi. In tal caso il bosco proviene da riproduzione gamica.

L’impianto del bosco può essere realizzato naturalmente dalle piante adulte che, giunte a maturità, prima di essere abbattute, rilasciano sul terreno il seme da loro stesse prodotto oppure, artificialmente, dall’uomo, mediante spargimento sul terreno del seme raccolto in precedenza o, ancora, producendo piantine, nei vivai forestali, dai semi raccolti in bosco ed utilizzando le piantine stesse, per sostituire il vecchio bosco abbattuto.

Affinché gli alberi producano seme c’è da aspettare qualche decennio, pertanto il turno delle fustaie è necessariamente più lungo che non quello dei cedui.

Naturalmente, un albero vissuto più a lungo cresce di più, non tanto in altezza, ma certamente in diametro; diametro maggiore vuol dire maggior possibilità di scelta di utilizzo finale del materiale legnoso.

Dalle fustaie si ricava legname per tutti i tipi di lavorazione industriale.

Il bosco, qualunque sia la sua origine, durante le varie fasi della sua esistenza, non deve essere abbandonato a se stesso, deve, invece, essere seguito e curato, per poter dargli la fisionomia più rispondente ai fini biologici, protettivi ed economici. A questo servono gli sfollamenti ed i diradamenti.

La conversione dal ceduo alla fustaia si imposta quando il ceduo, per motivi di ordine socio-economico, perde la propria importanza.

La manodopera forestale scarseggia ed ha un costo elevato; i boschi cedui sono, in genere, ubicati nelle zone montane più impervie e difficili da raggiungere; dal bosco ceduo si ricava legna di piccole dimensioni e, quindi, di scarso valore. Tutto questo porta il selvicoltore a riconsiderare l’utilità e la effettiva convenienza della ulteriore permanenza del ceduo ed a farlo optare per la conversione dal ceduo alla fustaia.

In Comune di Piedimonte Matese il progetto prevedeva l’esecuzione di “diradamenti di moderata intensità di giovane fustaia di faggio proveniente da conversione” .

La zona sottoposta al taglio, è stata suddivisa, per comodità, in cinque aree; data la sua estensione, si presenta molto difforme da un’area all’altra e anche all’interno della stessa area.

Il progetto prevedeva l’asportazione sistematica delle piante aventi diametro inferiore o pari a cm 6. La situazione reale dei luoghi ha richiesto una interpretazione più elastica e meno schematica delle prescrizioni progettuali, adattando l’entità e la modalità del taglio alle mutevoli puntuali condizioni del bosco.

Il concetto basilare è comunque stato quello di eliminare i soggetti in soprannumero, sottoposti, malati, morti e deperenti.

Nelle zone in cui il bosco si presentava con piante piccole e tutte pressoché uguali , si è provveduto a dei veri e propri sfollamenti con criterio numerico, riducendo la densità del bosco stesso.

Ove le piante erano sì tutte uguali ma di dimensioni maggiori, si è proceduto con i diradamenti propriamente detti, intervenendo in maniera più selettiva ed eliminando, quando dovuto, anche piante con diametro superiore ai cm 6.

In situazione di copertura arborea biplana, con piante adulte ben sviluppate e esemplari sottoposti, questi ultimi sono stati eliminati completamente perché di nessun avvenire.

Inoltre, si è presentata una situazione assolutamente non prevista dal progetto: in alcune zone del bosco sono tuttora presenti vecchi esemplari arborei che, per quanto belli a vedersi, andrebbero comunque abbattuti per tutta una serie di motivi tra loro concatenati:

- i fusti possono essere in parte fradici ed instabili;

- cadendo possono danneggiare molto le piante circostanti;

- data l’età, non producono più seme;

- al disotto della proiezione della loro chioma hanno fatto il vuoto perché sotto una copertura molto densa i semi non riescono a germogliare e le piantine non riescono a svilupparsi;

- un albero, come ogni essere vivente, dovrà pur morire e lascerà una buca vuota dove molto difficilmente potranno insediarsi altre giovani piante, perché sopraffatte dalle felci e dai rovi.

Tali “vecchi”, sono stati comunque risparmiati perché non previsto in progetto il loro abbattimento (e anche per non incorrere negli “strali” di qualche “ambientalista della domenica”, integralista ed ignorante della tecnica selvicolturale).

Dal taglio, per quanto possibile, sono stati preservati tutti gli esemplari di specie diversa dal faggio. Quest’ultima è la specie preponderante nella composizione del bosco, ma è facile reperire altre specie, quali acero; frassino; nelle zone più ombrose ed umide e, in particolare, nel vallone Cusanara, il tasso; addirittura, un esemplare adulto e due giovani di abete bianco, forse relitti di antiche, più estese popolazioni.

Il risultato di tale intervento è che il bosco si presenta in forma più omogenea, con alberi che, se non abbandonati a se stessi, potranno formare delle splendide fustaie, ottimamente fruibili sia in ambito turistico che in quello produttivo.

Considerando, anzi, che la zona stessa è ottimale per la vegetazione del faggio, si dovrà provvedere a realizzare, nel tempo, tutti gli altri interventi che la selvicoltura prevede per tali boschi, al fine di portare a maturità i soggetti migliori.

In Comune di Gallo Matese era invece prevista la “conversione di cedui di faggio in alto fusto mediante la matricinatura intensiva”.

La matricinatura intensiva è il rilascio nel bosco, al taglio del ceduo, di piante (“matricine”) che serviranno a sostituire, dopo la prima ceduazione, le ceppaie esaurite.

Come da progetto si è provveduto a sfoltire le ceppaie, eliminando i polloni di forma e qualità peggiore, nonché le vecchie matricine che opprimevano i soggetti più giovani e promettenti.

Materialmente, il lavoro è stato eseguito con l’impiego di motoseghe, abbattendo le piante e depezzandole in tronchetti di m 1,5 - 2 di lunghezza; dimensioni, queste, ottimali per l’esbosco a soma.

I tronchetti, separati dal frascume minuto, venivano, provvisoriamente, accatastati in bosco e, quindi, venivano caricati a dorso di mulo per l’esbosco ed il successivo accatastamento al limite del bosco stesso, in luogo raggiungibile dai mezzi meccanici.

Ogni mulo porta un carico di tronchetti del peso approssimativo di 2 quintali.

Potrà sembrare anacronistico il ricorso ai muli, ma, per le nostre zone, in presenza di materiale legnoso di scarso valore, stante anche l’elevato costo di acquisto dei mezzi meccanici, il mulo è ancora il mezzo di trasporto più conveniente.

 

Sistemazione dei fossi di scolo

A tutti i frequentatori abituali della montagna è noto il comportamento dei numerosi fossi o torrenti che percorrono i fianchi delle nostre montagne. La portata idraulica è tutt’altro che costante, anzi è concentrata esclusivamente nel periodo di scioglimento delle nevi e nel periodo delle piogge autunnali, annullandosi, con rare eccezioni, negli altri periodi dell’anno.

Inoltre, l’acqua ha una forte azione di scavo del materiale costituente le sponde e di trasporto a valle dello stesso materiale. Tale materiale si accumula nella parte terminale del torrente, provocandone l’innalzamento e la conseguente difficoltà, per l’acqua, di fluire liberamente nel proprio letto. Di conseguenza, l’acqua tende a superare gli argini con facilità, invadendo i terreni circostanti e depositandovi i materiali che trascina con se stessa.

Aggiungasi a questo la misura della sezione dell’alveo, spesso insufficiente a contenere le grosse portate.

Allo scopo di evitare tutto questo si è previsto di realizzare dei manufatti idonei.

Per rendere stabili le sponde bisogna consolidarle, per evitare che l’acqua le eroda; tra le modalità possibili, si è scelta la realizzazione di veri e propri “muri di sponda”.

Per far si che il torrente riduca la propria forza erosiva si realizzano opere che riducano la velocità dell’acqua, e/o opere che rinsaldino le sponde. Per frenare l’acqua bisogna diminuire la pendenza dell’alveo, inserendo in esso degli sbarramenti trasversali, denominati “briglie”.

Queste, con l’andar del tempo, si “interriscono”, si riempiono, a monte, del materiale portato dalla corrente e tale elevazione riduce la pendenza del torrente stesso.

La pendenza da raggiungere deve essere tale che, in ogni punto del torrente la quantità di materiale asportato sia pari a quella che giunge da monte e si deposita. Essa viene detta “pendenza di compensazione”.

Per la realizzazione delle opere idrauliche possono utilizzarsi i più svariati materiali, in questo caso si è previsto di utilizzare delle gabbionate di rete metallica riempite di pietrame idoneo.

Altra alternativa valida sarebbe stata l’impiego del calcestruzzo di cemento, ma la scelta dei gabbioni è stata imposta da motivi di vario ordine:

- l’impiego del calcestruzzo non sarebbe stato autorizzato dalle autorità competenti, vigendo la legge 431/85 (meglio nota come “legge Galasso”);

- il calcestruzzo ha un “impatto visivo” più marcato;

- il muro in calcestruzzo ha una struttura estremamente rigida ed indeformabile mentre, di contro, il muro in gabbionate è più elastico ed “assorbe” meglio gli urti dell’acqua, assestandosi leggermente secondo i “voleri” della corrente;

- il calcestruzzo cambia poco nel tempo, si scurisce ed, al massimo, dà asilo a qualche lichene; le gabbionate dopo pochi anni si “inerbiscono”, ossia si ricoprono di erbe ed arbusti così da perdere, in gran parte, le parvenze dell’opera artificiale e dando, nell’insieme, un aspetto più naturale alle sponde.

Si sono posti in opera gabbioni a scatola di m 2 x 1 x 1, costruiti in rete metallica di ferro con forte zincatura, allo scopo di proteggere i gabbioni dall’attacco degli agenti atmosferici e, quindi, di consentire una maggiore resistenza e durata all’opera stessa.

La gabbionata è stata realizzata in diverse fasi:

- allargamento e compattazione del fondo dell’alveo con contestuale riduzione della pendenza, impiegando un apripista meccanico;

- posa dei gabbioni affiancati tra loro, seguendo il corso del torrente;

- riempimento dei gabbioni con pietrame di dimensioni opportune da non farlo fuoriuscire dai gabbioni stessi;

- chiusura e cucitura tra loro dei gabbioni;

- avvicinamento del terreno al lato esterno delle gabbionate onde ridurre l’eccessiva sporgenza delle stesse dal livello del suolo.

L’operazione di riempimento dei gabbioni è stata effettuata con l’ausilio di un escavatore meccanico che depositava i massi nei gabbioni; tali massi venivano poi sistemati nel gabbione da alcuni operai che provvedevano ad incastrarli tra loro per dare maggiore compattezza al gabbione, allo stesso scopo, in ogni gabbione sono stati inseriti dei tiranti in filo di ferro zincato.

Ogni sponda risulta quindi costituita da due file sovrapposte di gabbioni, delle quali, la superiore, sporgente verso l’esterno di cm 25 (figura 1 ).

Figura 1: muri di sponda. Scala 1:50

 

a: sezione trasversale

 

 

b: profilo longitudinale

Il nuovo letto del torrente ha una larghezza di m 5, sufficiente a contenere anche le portate di piena eccezionali, ossia quegli eventi che si verificano mediamente a lunghi intervalli di tempo.

La realizzazione dei muri ha però portato all’inconveniente estetico che la fila superiore dei gabbioni, per quanto abbia del terreno affiancato, sporge notevolmente dal piano del terreno circostante. Resta, pertanto, il dubbio che l’opera possa essere sovradimensionata rispetto alle reali necessità.

Per quanto riguarda le briglie, si sono adottate le stesse tecniche costruttive, con forme e dimensioni variabili da caso a caso, avuto riguardo alla puntuale conformazione dell’asta del torrente, per tal motivo non si riporta lo schema costruttivo delle briglie stesse.

In linea generale si è cercato di ubicare le briglie in quei punti dei torrenti ove il letto si presentava più stretto e le sponde più solide e resistenti.

Nella costruzione delle briglie si è, però, trascurato un elemento importante: la sommità della briglia, vista di fronte, non deve essere tutta alla stessa quota, ma la parte centrale, detta gàveta, cunetta o savanella, deve essere più bassa (figura 2).

 

 

 

Tale gàveta dovrebbe essere di dimensioni tali da contenere tutta la portata di piena prevista.

La gàveta serve ad allontanare la corrente dalle sponde per evitarne la corrosione; può essere a forma trapezia o a catenaria ( “a corda molle”).

La sommità delle ali della briglia non si fa orizzontale, ma inclinata del 10%, per proteggere le sponde in caso di piena eccezionale non contenuta dalla gàveta.

Nel corpo della briglia vengono lasciate delle feritoie per far si che, ad interrimento avvenuto, l’acqua che si infiltra nel materiale depositato, non vada a spingere contro la briglia stessa, ma si scarichi a valle.

Contro la briglia interrita si verifica la “spinta delle terre”; non drenando l’acqua, si aggiungerebbe una “spinta idrostatica”, creando una situazione di carico molto più onerosa: la briglia dovrebbe “lavorare” di più.

Le briglie in pietrame non hanno di questi problemi perché sono filtranti per costituzione, l’acqua fluisce liberamente tra le pietre costituenti il gabbione.

I torrenti interessati dalle opere di cui sopra sono:

- Capo la Sala        2 briglie

- Rava la Noce       2 briglie

- Rava Matese        5 briglie + muri di sponda a valle delle briglie

- Fosso delle Tornare     muri di sponda

Dei rimanenti, il Guado della Cannella non aveva bisogno di sistemazione; il Vallone la Gola è risultato impossibile da sistemare per la presenza di numerose costruzioni lungo il suo corso; gli altri non sono stati sistemati per volontà dell’impresa esecutrice.

 

Protezione dagli incendi boschivi

Questa voce del progetto prevedeva l’ acquisto di mezzi ed attrezzature da fornire alle squadre A.I.B. (anti incendi boschivi) della Comunità Montana. Sono stati acquistati:

- automezzo fuoristrada Nissan King cab doppia cabina e piano di carico da adibirsi al trasporto del personale antincendio;

- automezzo fuoristrada Nissan King cab a cabina singola e piano di carico sul quale è stato montata una motopompa-serbatoio per l’attacco diretto contro il fuoco;

- dieci apparati radio rice-trasmittenti portatili.

 

Viabilità forestale

Le piste forestali, in teoria, vengono realizzate per scopi strettamente legati alle attività selvicolturali ed a quelle di sorveglianza, pertanto si ipotizza una mole di transito limitata in numero di veicoli e ristretta a brevi periodi di tempo.

Quindi, si prevede raramente la copertura delle stesse con un manto di asfalto e si lasciano a fondo naturale, ricaricandole con della ghiaia e rullandole per compattarle.

Tali piste, dopo l’utilizzo, dovrebbero, di norma, essere sbarrate, per evitare il traffico indiscriminato. Purtroppo ciò non avviene e così il traffico sulle piste è ben più pesante del preventivato, cosa che si traduce in un rapido deterioramento delle piste stesse e, con esso, nell’intransitabilità.

A tutto questo aggiungasi l’azione erosiva delle acque che, scendendo lungo il tracciato delle piste, ne provocano l’erosione. Per frenare il ruscellamento idrico si procede alla realizzazione dei taglia acqua, ossia di solchi che intersecano l’asse stradale con un angolo tra i 120° ed i 150°, in modo da interrompere la continuità di scorrimento delle acque, raccogliendole e sversandole a valle della pista.

La distanza tra i taglia acqua è legata alla pendenza delle piste in maniera inversamente proporzionale: piste più ripide, distanza minore; piste meno ripide, distanza maggiore. Il concetto basilare è quello di contenere la velocità dell’acqua al di sotto dei valori minimi provocanti l’erosione.

Lungo le piste rotabili è bene che i taglia acqua siano a sezione larga e non molto profonda cosicché le ruote dei mezzi possano attraversarli dolcemente, senza provocarne lo smottamento.

 

Conclusioni

Un progetto di tale portata è stato il primo, nel suo genere, realizzato nel territorio del Matese. E’ auspicabile che non rimanga un evento isolato, ma sia seguito da altri progetti simili che, unitamente ai lavori direttamente realizzati dalla Comunità Montana del Matese, servano a mantenere il delicato equilibrio che regge l’ambiente forestale e montano, così da preservare l’integrità dei nostri luoghi più belli, permettendo, a chiunque desideri, di conoscerli ed apprezzarli sempre più.

Il neonato Parco del Matese dovrà, poi, promuovere, ulteriormente, la salvaguardia dei luoghi e delle persone che li abitano.

 

Piedimonte Matese 13 ottobre 1995

 

 

Documentazione consultata:

-Progetto esecutivo dei lavori del dottore agronomo E. Cortellessa.

- Appunti dalle lezioni universitarie di Selvicoltura generale del prof. E. Giordano, Università della Tuscia di Viterbo.

- Appunti dalle lezioni universitarie di Sistemazioni idraulico-forestali del prof. C. Bertini, Università della Tuscia di Viterbo.

 

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