Dragoni                Annuario 1975                Home page

 

 

Brevissime notizie sul marmo colorato di Dragoni

 

(in Annuario ASMV 1975, pp. 99-103)

di Mario Fabrizio

 

 

Dragoni è un piccolo centro agricolo di Terra di Lavoro. Sorge nella valle del Medio Volturno ed è situata proprio di fronte ad Alife, sull’altra sponda del fiume.

A sud di Dragoni sorge il Prappennino campano, costituito dagli antichi monti saticolani, oggi catena del Maiuri o di Monte Sant’Angelo, ed esso si estende, in una posizione quanto mai infelice, per circa due miglia, lungo le falde quasi in linea retta.

L’economia del paese si fonda quasi esclusivamente sull’agricoltura. La manodopera giovane, ed anche non più giovane, è costretta ad emigrare all’estero in ceca di lavoro. Svizzera, Canadà, Germania, Inghilterra, Francia, Belgio, Stati Uniti, Venezuela e soprattutto il Nord Italia, sono i principali paesi importatori di manodopera proveniente da questo piccolo centro. In modo particolare i lavoratori che sono emigrati desiderosi poi di far ritorno hanno fatto notevoli progressi riuscendo addirittura a costruire dei nuovi rioni.

L’industria è quasi del tutto assente. Solo qualche piccola bottega a livello artigianale. Manca la materia prima e le infrastrutture, e gli industriali non ne sono interessati.

L’unica materia prima di cui il paese dispone è la pietra. Dragoni è ricca di pietre di varie qualità, specie e natura.

Ben sei sono le cave di pietra esistenti nel paese, ed il fondo della maggior parte delle strade, nel raggio di alcuni chilometri, è fatto di tale roccia.

Nel passato è stata attivamente sfruttata una cava di bauxite oggi abbandonata.

Dragoni dispone di una pietra dura per blocchi, che viene cavata alla superficie, di una pietra colorata non compatta, che viene utilizzata per la lavorazione di conglomerati, e di una pietra di marmo colorato, che viene usato per blocchi ed anche per lastre di rivestimento.

Già anticamente era conosciuto questo marmo e la cava era sfruttata fin dai tempi dei Romani, come ci riferiscono alcuni storici. Trattasi di pietra calcarea a struttura cristallina. Essa alcune volte è ricca di venature gialle e rosse nel qual caso prende il nome di “broccatello molisano”, altre volte invece si presenta conchigliato di color nocciola, per cui è conosciuto anche come “nocciolato di Dragoni”.

La colorazione è dovuta ad inclusione di argilla e bauxite. I giacimenti si presentano stratificati a banchi di spessore variabile da ottanta centimetri a circa un metro e sessanta.

La pietra calcarea di Dragoni, a causa della sua cristallizzazione, è adattissima alla lucidatura che tiene molto bene. Purtroppo però l’inclusione di argilla e bauxite ne causa lo sfaldamento lasciando buchi e fessure piuttosto profonde per cui tale calcare è piuttosto adatto per rivestimenti interni e pavimenti.

Tale marmo si cava dalla “Trivolesca” detto anche “monte Trebulano”, piccolo monte situato ad ovest del paese e così chiamato da un antichissimo casale che sorge alle sue pendici: “Trivolischi”.

Attraverso i secoli questa cava è stata sempre sfruttata ed il marmo è stato anche molto apprezzato, se è vero, come qualche autore ci informa, che è stato usato in molti monumenti, chiese e palazzi in Italia.

Nella sagrestia dell’Annunziata di Dragoni, si conserva, ma per lo più dimenticata e sconosciuta, una tazza di tale marmo, che è appunto dell’epoca romana. Rispetto al nuovo ingresso praticato sulla parete est della stanza essa si trova subito a destra appena entrati. Si tratta di una tazza alta circa un metro e venti, è a forma di navicella con il diametro più lungo di un metro circa e quello più corto di circa quaranta centimetri. Ai due lati estremi del diametro maggiore vi sono due figure umane con corna, tipiche dell’epoca pagana, dette “fauni”.

Il gambo della tazza non è in buono stato di conservazione, è senza base e poggia direttamente sul pavimento. Essa è posta sotto una lastra di marmo alla cui base vi è una specie di rubinetto, proveniente da un serbatoio creato nel muro e sbarrato appunto dalla lastra di marmo che è pure di marmo colorato di Dragoni anche se di epoca successiva. Serviva evidentemente per il lavabo nel tempo in cui le moderne comodità non erano conosciute. Questa tazza probabilmente proviene da qualche villa o pubblico edificio dell’antica città di Combulteria dalla quale trae origine l’attuale Dragoni oltre che Alvignano.

Lo storico di Caiazzo G. Faraone riferisce nel suo libro su Caiazzo e la sua diocesi che da un’antichissima iscrizione risulta che l’imperatore Adriano nell’anno 121-122 d.C. usò i marmi cubulterini per abbellire alcuni edifici pubblici in Caiazzo.

Anche il teatro di Caiazzo era adorno del marmo colorato di Dragoni, come ce ne assicura il Canonico Jadone, il quale de visu potette constatare alcune colonne rinvenute in scavi operati nelle vicinanze del mercato, un tempo foro di Marco Gavio.

Il marmo di Dragoni era detto “Combulterino” da Combulteria, antichissima città osca, poi romana, che sorgeva nei pressi del cimitero di Alvignano. L’attuale territorio di Dragoni, molto probabilmetne faceva parte di Combulteria, che si estendeva, a detta di qualche storico, fino a Baia Latina, mentre confinava a est, subito dopo e mediante il vallone “Tella” con il territorio di Caiazzo. Della stessa epoca romana, ma noi non ne siamo certi, è l’artistico “battistero” che si conserva pure nella stessa chiesa e che, come riferisce uno storico contemporaneo, sarebbe un monumento sepolcrale romano.

Entrando dalla porta principale il battistero si trova subito a sinistra. Sorge su una base a forma ottagonale, alta poco più di cinque centimetri ed avente sessanta centimetri di lato. Il motivo geometrico ottagonale è presente costantemente in tutti gli elementi che compongono. Su tale base, anch’essa di marmo colorato, ma non lucidato, poggia il battistero propriamente detto, alto due metri e trentacinque centimetri e formato da ben cinque elementi. Si presenta, soprattutto nelle curvature esterne, molto lucido e splendente. Questo piccolo gioiello non passa inosservato neanche agli occhi del profano tanto è carino nelle sue strutture.

Il primo pezzo, che poggia direttamente sulla base, senza però esservi incastrato, è alto trentacinque centimetri ed ha la forma di un tronco di piramide ottagonale con la base maggiore rivolta verso il basso. Sulla base minore di esso poggia il secondo elemento, che artisticamente è il più bello. È alto settantacinque centimetri e si compone di due parti, di cui la prima ha forma di tronco di piramide ottagonale, contrapponentesi al primo, ma con la base maggiore rivolta verso l’alto, e la seconda è simile ad un artistico capitello, con motivi ornamentali diversi. Bisogna ammirarlo questo pezzo per poterne cogliere tutta la bellezza fine e semplice, non riuscendo le parole a tradurre lo spirito ed il contenuto altamente espressivo.

Il terzo elemento è una coppa formata da cinque ottagoni uno sovrapposto all’altro. Essa internamente è divisa in due parti da un tramezzino. Il quarto elemento è il più alto, novanta centimetri, e forma il corpo slanciato del battistero. Si incastra nella tazza, poi si allarga gradualmente fino ad una massimo per poi cominciare a restringersi. Anch’esso ha forma ottagonale. Due lati sono formati di legno decorato. Se è vero che il battistero è di origine romana questa sarà certamente una trasformazione od una aggiunta di epoca posteriore. Alla base dei due lati di legno vi sono due porte che permettono l’affaccio all’interno della tazza e del tempietto. L’ultimo elemento è alto venti centimetri ed è formato da tre ottagoni uno sovrapposto all’altro.

Dello stesso marmo, ma probabilmente di epoca successiva, è la pila dell’acquasantiera che si trova, in posizione simmetrica al battistero, a destra entrando nel tempio. Anch’essa poggia su di una base che è però rettangolare, ottantatre centimetri per ottantotto, ed alta non più di dieci centimetri. Anche questa base è di marmo colorato ma non levigato. Lo stelo o gambo è composto da un sol pezzo, ricco di motivi ornamentali, alto ottantacinque centimetri. Su di esso poggia la pila composta di cinque cerchi, che esternamente, appaiono sovrapposti ma senza ordine decrescente o crescente. È alta venti centimetri ed ha un diametro di ottantacinque.

Nella basilica romanica di Combulteria, ove trovasi la tomba di San Ferdinando, vescovo di Caiazzo e patrono di Dragoni ed Alvignano, è stata rinvenuta, tra le altre cose, una acquasantiera a forma di conchiglia e di modeste dimensioni. Essa è in marmo colorato combulterino. Di simili ve ne sono nella chiesa di S. Andrea Apostolo al Pantano, nella chiesa di S. Biagio in S. Giorgio, e nell’Annunziata del Chiaio. Delle tre però che si trovano nell’Annunziata una, e precisamente quella più piccola che si trova nella cappella De Magistris, vicino alla porta di accesso al campanile, vi è stata posta da poco, ivi trasportata dalla chiesa di S. Giovanni Evangelista dopo che quest’ultima venne distrutta a seguito degli ultimi eventi bellici. Le due che si trovano nella parrocchia di San Biagio sono una diversa dall’altra e sono di modesta fattura, probabilmente opera di qualche artigiano locale.

Dell’uso di tale marmo in tempi antichi ve ne sono tracce nei paesi limitrofi. Sono del bel marmo colorato di Dragoni le due colonne ed il portale della chiesa dell’Annunziata in Piedimonte Matese, parte del battistero ed un tavolo, mezzo incastrato nel muro poggiato su alcuni elementi di balaustra, che si trovano subito a sinistra entrando nella chiesa di S. Maria Maggiore pure in Piedimonte Matese; tutti gli scalini sui quali sorge l’altare di S. Sisto in Alife sono dello stesso marmo; i portali della cattedrale di Capua, e tracce ve ne sono un po’ ovunque.

Ma l’uso più illustre che tale marmo ebbe fu l’onore che gli fece il Vanvitelli nella costruzione della “Gran Scala Reale della Reggia di Caserta”. Nella “platea” di tale monumento, infatti, al capitolo V pag. 52 così si legge: “Le pareti (della gran scala reale) sono tutte rivestite di marmi, parte indigeni, che predominano, e parte di bianchi di Carrara. I marmi indigeni impiegati sono il Vitulano, cavato alle falde del monte Taburno, presso il paese di tal nome ed è quello appunto nei fondati delle riquadrature e dei piedistalli; il Dragoni, dal nome del paese vicino alle falde del monte Trebulano, sei miglia al di là di Caiazzo, ed è quello impiegato nelle impugne dei fondati medesimi, riquadrate da cornici di marmo bianco, e nelle balaustre delle seconde rampe”. Ma tale marmo venne usato anche nella costruzione della regia cappella come si rileva più innanzi.

Dello stesso bel marmo colorato di Dragoni sono gli altari delle già menzionate parrocchie di S. Biagio, di S. Andrea e della SS. Annunziata in Dragoni. In quest’ultima, in verità, oltre l’altare maggiore ve ne sono altri sei nelle cappelle laterali. L’altare maggiore è una vera opera d’arte. Sorge nell’ampio cappellone del coro, sopra tre scalini dello stesso marmo, troneggia sull’ampia e spaziosa navata centrale ed è incorniciato dal laterale coro in legno. È formato da due enormi blocchi di marmo levigato e lucente, con una mensa vastissima ed i due corni che terminano a volute. I colori ora dolci e tenui, ora accentuati e brillanti creano un complesso armonico di policromia. Venne consacrato insieme all’altare della cappella dell’Addolorata da Mons. Piperni il 22 giugno 1771, come risulta da una iscrizione esistente sulla mensa.

Anche di recente la cava è stata sfruttata, ma ora è chiusa. L’ing. Antonio Fossa, da Piedimonte Matese fu l’ultimo aggiudicatario, ma dopo un certo tempo ne affidò lo sfruttamento ai fratelli Giordano da Caserta, che attualmente lavorano la pietra, pure colorata, ma che viene usata per i conglomerati e che si cava nel fianco della collina Castello. In tale periodo i blocchi venivano trasportati e lavorati principalmente a Terni, Roma e Viterbo.

Attualmente, come dicevamo, la cava è chiusa e ci auguriamo che venga al più presto riaperta, ma anche che la pietra possa essere lavorata in loco, stante anche la costruzione della recente superstrada con Caianello che ci mette in comunicazione diretta con tutta l’Italia. Avremo così, ad un tempo, la possibilità di ornare i nostri edifici oltre che di creare possibilità di lavoro per tanti nostri concittadini costretti ad emigrare in cerca di lavoro e di pane.

 

 

Bibliografia:

Di Dario, Storia di Caiazzo e della sua diocesi;

Jadone, Memorie istoriche di Dragoni ecc.;

Platea della Reggia di Caserta;

Archivio de Comune di Dragoni;

D. Marrocco, L’Arte nel Medio Volturno;

G. Faraone, Storia della diocesi di Caiazzo;

Di Jorio, Dissertazione su Compulteria;

ing. P. Giordano, Relazione sulla pietra di Dragoni.

 

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