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¾     LE CAMPANE DEL  PAESE  NATIO 

 

Era nato Luca in un paese del Matese, Valle Agricola, ed aveva trascorso i primi otto anni della sua vita in quel ridente paesino che gli sembrava il mondo, intendendo per mondo tutto ciò che egli conoscesse e che gli appartenesse, e, poiché abitava  in pieno centro, vicino alla chiesa, visse i suoi primi anni in compagnia del suono delle campane, che fosse gioioso o triste, prolungato o breve.

Aveva ormai fatto l’abitudine al suono familiare delle campane che segnava la giornata e talvolta faceva compagnia.

Luca ricorda la prima volta che lasciò il paese. Partirono in una giornata fredda di gennaio con il ghiaccio che copriva tutta la vallata e le case e con un’aria così fredda che le loro bocche sembravano tanti camini  accesi da cui fuoriuscivano aloni come fossero fumi. Partirono e, lungo la strada, sentivano netti i rintocchi delle campane provenienti dal campanile della chiesa madre, come se volessero salutarli o forse  invitarli a ritornare.

Infatti le campane,per lui e per tutti i compaesani, a quell’epoca, erano una presenza sentita di come esse accompagnassero ogni momento di vita dei valligiani, anzi la dirigessero senza che peraltro nessuno se ne accorgesse, come se i vari rintocchi  contenessero  il dovere di adeguarvisi, altrimenti si usciva fuori dalle regole della comunità . Essi in fondo avevano il compito di accomunare ed orientare gli avvenimenti della vita di ognuno e di tutti.

E perciò, mentre il camion a passo d’uomo copriva i primi chilometri di strada che portava verso la pianura, Luca sentiva in sé l’eco di quei rintocchi mentre guardava le case ed il paese che si allontanavano creando i  primi vuoti affettivi che gli lasciavano il segno.

Quei rintocchi rimasero con Luca per tutto il tempo che restò lontano dal suo paese e glielo ricordavano con le sfaccettature a lui familiari, come se il suono delle sue campane arrivasse fin dove viveva e continuassero a muovere ed organizzare le sue attività.

Poi, immerso in mondi diversi, con il tempo dimenticò il suono amico delle campane del suo paese di nascita, come se fosse stato un bel sogno senza il quale però si poteva vivere lo stesso.

Tornato dopo qualche anno in Italia, ovunque si ritrovasse per motivi di studio, preso dall’impegno culturale, pur sentendo il suono delle campane di vari posti, non ci faceva caso, un po’ perché l’ambiente era più dispersivo e più caotico, ma soprattutto perché esso non era certamente il suo primo problema di vita.

Le campane ritornarono alla ribalta quando divenne Sindaco del suo paese natio perché il Parroco fece presente che le campane e l’orologio del paese  non funzionavano più con la regolarità di sempre perché il Comune non aveva dato per anni il contributo necessario a far funzionare campane ed orologio “per gli usi civici” e cioè per segnalare mattutino, mezzogiorno, ventunora e sera, che erano i suoni necessari allo svolgimento della vita dei valligiani, le cui  attività erano regolate su di essi, in sostituzione  dell’orologio.

Dovette interessarsi al problema e provvedere in merito perché molti concittadini si lamentavano della mancanza dei rintocchi necessari a  calibrare attività e vita su di essi.

Così dettero gli arretrati dei contributi dovuti e le campane ripresero a squillare come sempre ed a regolare la vita dei concittadini.

Tali fatti posero,però, senza volerlo, nel giusto risalto l’utilità delle campane che, com’è noto, non svolgono soltanto funzione civica, cioè di segnalare l’orario, ma anche e soprattutto di ricordare l’orario di funzioni religiose, di preghiere vespertine, ma anche eventi particolari, feste importanti, avvenimenti gioiosi come i matrimoni o tristi come la morte di qualche parrocchiano, disgrazie che avvengono o richieste di aiuto e soccorso.

Le campane, insomma, sono l’anima di ogni comunità, rappresentano il segnale di vita, il richiamo ad un evento, l’invito a partecipare, il ricordo di esserci, l’importanza di un incontro.

E quando il paese, come quello della nascita di Luca, è raggruppato attorno alla chiesa madre e si estende in una vallata, esse hanno anche la funzione di unificazione, di presenza, di solidarietà, di partecipazione, di incontro e di confronto, in una parola di vita.

Ecco perché avevano ragione il parroco ed i concittadini che lamentavano l’assenza dei segnali vitali che promanavano dal campanile della chiesa ed ecco perché quando si vive lontani per anni dal proprio luogo di nascita e di vita si avverte la mancanza del suono delle campane di casa, come se mancasse il paese e la vita di comunità a suo tempo vissuta.

Le campane del paese di nascita, poi, come quello di Luca, hanno un suono particolare quando suonano a festa, come se invitassero alla gioia, e mancano quei rintocchi  quando si vive lontano perché è come se una parte di sé fosse svanita e come se parte della vita che si svolge nella vallata non  appartenga più a chi è andato via. Mancano a chi non vive più nel proprio paese anche i rintocchi che annunciano la morte di qualche  compaesano perché la loro assenza non annuncia la dipartita di un amico, di un parente, di una persona cara e non lo rende partecipe anche di quella dura realtà, tenendolo lontano dalla vita che continua nel paese natale. Gli mancano i rintocchi gioiosi e di festa che annunciano un matrimonio o il battesimo di figli di amici o la cresima di giovani ormai pronti alla vita. Gli mancano le campane delle feste principali, il Natale, la Pasqua od il Patrono od il Protettore, gli manca cioè quel rintocco di vita sociale che è il simbolo della collettività vissuta.

Ora che anche le campane del campanile della chiesa del suo paese sono elettrificate, mancano a Luca  le figure dei campanari della sua infanzia, come zì Camillo che regolava l’orario del suono delle campane alle fumate che si faceva con una pipa torta e ritorta lunga un metro, ma più che altro a tutte quelle attività che predisponevano all’accensione  ed allo spegnimento immediato della stessa allorché, tra una chiacchiera e l’altra che scambiava con qualche amico che si attardava a fargli compagnia, seduti sul gradino davanti all’ufficio postale posto proprio nei pressi dell’ingresso laterale della chiesa madre “’n coppa a gliu campanaru ”, si accorgeva che il tempo era scaduto e che doveva provvedere alle sue incombenze per poi ritornare a prendere il posto con altri fino all’orario della funzione sacra cui doveva attendere. Ma le campane del suo paese gli ricordano anche l’altro campanaro della sua infanzia, Zì Peppino, che si vantava di far risuonare meglio di ogni altro il concerto delle campane cui era addetto usando appropriatamente  la forza e sincronizzando meglio il suono delle tre campane che si elevavano contemporaneamente. Le campane gli ricordano anche la paura di quand’erano bambini allorché, mentre si ponevano proprio sotto il campanile per vedere l’andirivieni della campana grande, poi scappavano per la paura che la stessa si staccasse all’improvviso dagli incavi in cui era sistemata e cadesse  loro addosso. Luca  ricorda anche il silenzio per tre giorni delle campane, dal giovedì a tutto il sabato della settimana santa fino a tarda notte,  per rispettare la morte di Cristo e ricorda anche come le campane fossero sostituite dai cosiddetti “rétrécine” che servivano a richiamare alle funzioni della settimana santa i credenti  con quel rumore particolare che scaturiva da quelle macchine di legno fatte da due tavolette laterali, una ruota dentata ed un’aletta leggera di legno che, sfregando vicino alla ruota che veniva fatta girare con un manico che la reggeva al centro,  produceva un particolare suono vibratorio che rimpiazzava  il suono delle campane e serviva egregiamente allo scopo, anche perché molti ragazzi ne facevano uso contemporaneamente.

Ricorda l’accompagnamento de i “rétrécine” suonati a mo’ di nenia da tanti ragazzi durante la processione di Gesù morto, trasportato in spalla da quattro uomini a piedi nudi che, stranamente, non subivano mai traumi, ferite  od altro.

Ricorda le campane a gloria del giorno di Pasqua, quando tutto era fiorito nelle campagne a dare il senso di maggiore festa e quando tutto era un inno alla vita, dal risveglio della natura allo sfoggio di vestiti nuovi delle persone. Lui stesso ricorda che, in un’ occasione simile, suo nonno gli fece cucire da un sarto di Ailano, che andava ogni domenica a Valle, un vestitino su misura  con i pantaloncini corti, proprio per una festa.

Le campane si suonavano comunque anche in caso di grandinate o eccessivo cattivo tempo od in caso di incendio o di pericolo perché dicevano che il suono di esse allontanava i fulmini, le saette, ed ogni negatività dai campi e dalle persone verso altri luoghi e salvava la chiesa, le case e l’intera valle.

Ricorda Luca quella volta che andò a fuoco una casetta a due piani, a via Matese.  Furono le campane suonate a fuoco che allertarono l’intera cittadinanza che accorse per aiutare a spegnere e ricorda che,in quella occasione, la fiumana di gente era diretta da un sottufficiale dell’Arma comandante la stazione dei Carabinieri, prontamente accorso, che si gettò all’interno dell’abitazione con l’aiuto di altri e ne uscì nero come uno spazzacamino, ma felice di aver compiuto il suo dovere e di aver salvato la povera proprietà di terzi.

Né Luca può dimenticare il sagrestano Zì Peppino, cui piaceva bere il vino, che, dovendo suonare, un pomeriggio,  per  la funzione dei vespri ed avendo trovato una bottiglia di buon vino da messa in sagrestia, lo bevve tutto e, mezzo ubriaco, cadde a terra, tra la sagrestia e l’accesso interno al campanile, e lì rimase fin che non gli passò la sbornia: intanto i vespri erano già terminati!

O come quella volta che sagrestano e parroco, rientrati da un banchetto di nozze ove avevano mangiato e ben bevuto, al momento della  benedizione vespertina, quando il sagrestano stava per porre sulle spalle del celebrante il velo omerale, caddero entrambi ginocchioni a terra perché non reggevano oltre il vino.

Ma le campane della chiesa ricordano a Luca anche i rintocchi continui e ritmati per le processioni importanti come quella del protettore, S. Rocco, alle quali partecipa tutto il paese in segno di rispetto e venerazione. Ma esse rappresentano  anche ricordi di tradizioni, di preghiere particolari, di volti di persone che non ci sono più, di fede vissuta, insomma uno spaccato di vita paesana.

Le campane del suo paese fanno parte di Luca, della sua essenza e sono come la sua infanzia, la sua gioventù, anzi esse sono un particolare segno della sua vita vissuta, ad essa accomunate, assolutamente inscindibili e, perciò presenti nei suoi ricordi, ma soprattutto nel suo animo.

Ricorda,infine, Luca che, giovane avvocato, dovette difendere un povero parroco accusato di “disturbo alla quiete pubblica”  perché faceva suonare troppo a lungo le campane della chiesa e disturbavano il sonno di qualche  persona  che nel suono di esse intravedeva soltanto fastidio e ricorda l’imbarazzo del Pretore che dovette irrogare una contravvenzione al povero prete che non capiva il perché  di quella condanna.

Ma le campane rappresentano per Luca una tradizione, una realtà che se non ci fosse la si dovrebbe inventare, non solo perché, come qualcuno dice “sono la voce di Dio”, ma anche perché sono la voce dell’uomo, della collettività, della necessità e sono il segnale che dove c’è quel suono c’è vita.

                            Luigi Cimino

 

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