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Nicola Borrelli

 

UNA EPIGRAFE SEPOLCRALE SINUESSANA

(in Archivio Storico del Sannio Alifano e contrade limitrofe, Anno VII, n. 19-20-21, 1922, pp. 11-13)

 

 

 

Ancora una epigrafe inedita. È un molto modesto titolo, è vero, che giudico tuttavia opportuno pubblicare per contribuire, per quanto riguarda le nostre contrade, ai progettati supplementi al C.I.L.

È un cippo di travertino, di circa un metro di altezza, sulla cui faccia, in lettere piuttosto rozze, leggesi la seguente iscrizione:

 

DIS’ MAN’(ibus) (sacrum)

MARCIA’ ISIAS

M’(arcus) PAPIRI’(us) P’(osuit) F’(ecit)

 

Una comune epigrafe sepolcrale, dunque, sacra agli dèi Mani, ai quali M. Papirius affida l’anima di Marcia Isiea. Manes, com’è noto, eran dette le anime dei defunti, ma le buone e beate, giacché le tristi, che spaventavano e perseguitavano i mortali, eran dette Lemures o Larvae. Generalmente poi davasi il nome di Manes a geni benefici e tutelari delle famiglie, e però messi in relazione coi domestici Lari (Lares familiares).

La qualità, di liberta della defunta, per quanto taciuta (il più delle volte era espressa mediante la sigla L. emerge dal secondo nome Isias, che segue il nome Marcia costituito dal prenome (praenomen personae) del padrone (dominus vel vir) e cioè Marcus[1]; mentre, se si fosse trattato di una liberta, (ingenua) questo nome sarebbe stato il gentilizio Papiria contraddistinto, ove ne fosse stato il caso, da alcuno degli epiteti major, minor, junior, secunda, tertia, ecc. (e questi ultimi spesso vezzeggiati in Primilla, Secundilla, Tertilla, ecc.) o da qualche altro appellativo dedotto da caratteri o qualità personali. Un secondo nome invece si aggiungeva all’unico che portavano le liberte onde distinguerle fra loro[2], poiché, di origine schiava quali erano, non potevan portare, come le libere, nome gentilizio (nomen gentis), variante nelle varie ramificazioni. E questo secondo nome, che il padrone apponeva, era il più delle volte dedotto dal greco e spesso dal paese d’origine degli schiavi che, come è noto, affluivano a Roma dalla Grecia. Così, al nostro caso, la defunta Marcia prendeva nome da Isiai (Ύσιαί) piccola città della Beozia, o dell’Argolide, il cui gentile latinizzato è Isias-adis, non diversamente che da Aeaea è aeas, da Arcadia, arcas, dal Ilios, ilias, ecc.

Dedicante è Marcus Papirius, della gens Papiria, la quale dié molti magistrati alla Repubblica, a principiare da quel Marco Papirio che ruppe l’eburneo scettro sul capo del Gallo incuriosito... Trattasi quasi certamente di un Papirius dimorante a Sinuessa, ove  a credersi abbia dimorato anche quel M. Papirio Peto amico di Cicerone, giacché in qualche lettera direttagli da Cuma[3], il grande Oratore lo informa l’indomani o anche prima (...cras ad te fortasse: sed cum certum sciam, faciam te paullo ante certiorem) sarà da lui; e trovandosi Cicerone, come si è detto, a Cuma (in Cumanum), non può trattarsi che di località molto vicina e quindi, con tutta probabilità, di Sinuessa.

Lo stile delle lettere capitali, ancora alquanto lontano dalla buona epoca di Roma, permette di assegnare il titolo al primo secolo a.C.. Esso si rinvenne poco lungi dalle sepolte mura dell’antica città[4], e propriamente nella località Tre Ponti, podere omonimo, già di proprietà Borrelli[5], presso quel fabbricato colonico, sotto del quale, a circa due metri di profondità, è il selciato della Via Appia  -la « regina viarum »-,  che poco più avanti, e propriamente ove oggi la Torre di S. Limato, immetteva a Sinuessa. È noto come i Romani seppellissero i loro morti lungo le grandi vie extra urbane, affinché il nome se ne leggesse dai passanti e la memoria si soffermasse su di essi. Da ciò, sui funebri monumenti, il frequente invito “Siste viator”. Fiancheggiata dunque di sepolcri, di epitaffi, di cippi, era la grande via romana, che toccava, sul mare, Sinuessa: ma, quivi giunti, cessava il mesto ricordo dei morti e cominciavano i beati ozi campani...

 

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[1] Non può pensarsi a gentilizio Marcia da Marcius (gens Marcia), stante il secondo nome Isias.

[2] Facile sarebbe stata la confusione, giacché non più che una ventina erano presso i romani i nomi, diciamo così di battesimo (praenomina), che distinguevano i vari membri della famiglia.

[3] Cic. Ep. Fam. IX, 23.

[4] Cfr. F. Ribezzo, in Riv. Indo-greco-italica, anno V, fasc. III e IV Napoli 1921, p. 74 s. Sinuessa.

[5] Il titolo trovasi attualmente nel fondo Olivone, di proprietà Borrelli, presso il villaggio Piedimonte di Sessa.