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Nicola Borrelli

 

PIGNATARO MAGGIORE NELLA META’ DEL SEC. XVIII

(in Archivio Storico del Sannio Alifano e contrade limitrofe, Anno VI, n. 16-17-18, 1921, pp. 17-22)

 

 

 

Una delle più elette figure di Sovrano, veramente degno di tal nome e della riconoscenza dei posteri, è, senza dubbio, Carlo III di Borbone (1734-1759), re di Napoli e Sicilia[1]. Giusto, benefico, amante del progresso, Carlo precorse i tempi e fu, nelle ombre del suo regno, un illuminato ed un illuminatore. Né può apparire aulica lode quella che trova consenzienti tutti gli storici e che si leva ed erompe, col linguaggio stesso delle cose, dalle indelebili orme lasciate da questo magnifico re[2]. Il quale, inteso a far del suo regno uno Stato prospero e forte, in buona parte vi riusciva  -sottratte le due nobili regioni alla umiliante condizione di provincie spagnuole-  mediante le non poche ardite riforme politiche, militari e civili, secondato ed ispirato da due saggi e dotti consiglieri, quali il Genovesi[3] ed il Tanucci[4]. Le riforme apportate da Carlo III e le opere da lui compiute non si contao: sviluppata la legislazione, promossa la cultura, dato impulso alle industrie, al commercio, all’agricoltura; restaurati l’esercito, la marina, i pubblici servizi; ridotti i privilegi e le prerogative della feudalità e del Clero dilagante[5], di cui vietate le angarie e punitene le licenze, Carlo riusciva a riparare ai profondi mali che affliggevano l’infelicissimo Regno delle Due Sicilie, dando un passo gigante verso l’avvenire. Tra le tante riforme introdotte da questo provvido ed operoso re fu l’istituzione, presso ogni Comune del Regno, del così detto Catasto Onciario[6] , in esecuzione delle Prammatiche del 1741-42, ed a Pignataro Maggiore (allora Pignataro di Capua), istituito nel 1754. Il Concordato con la Corte di Roma[7], nel 1741[8], aveva sortito il voluto effetto, che cioè i beni della Chiesa, delle Comunità, dei Feudi, degli Enti laicali, fossero alfine noti, onde la necessità del Catasto. Era dunque questo l’allibramento delle possidenze e dei redditi dei cittadini sottoposti a tributo erariale. Le basi della moderna Statistica erano così gettate e la via tracciata per la conseguente legislazione concernente il censimento e tutta l’economia sociale e statale. In questo rudimentale Catasto, dunque, detto Onciario perché in once eran determinate le tasse dovute dai cittadini del Comune, ovvero Università, divisi per famiglie, con l’indicazione del grado sociale, mestiere, industria o negozio di ciascuno e con la designazione dei beni posseduti, col relativo reddito in base al quale determinata la tassa.

Questa era distinta in un onere fisso dovuto, salvo alcun casi da ciascun contribuente (testa) e dal corrispettivo del reddito del mestiere o negozio esercitato (industria). La tassa dunque a corrispondersi era determinata, come dianzi dicemmo, in once (moneta questa di semplice conto, e però materialmente inesistente) e fissata, come sembra, nel valore di carlini 3.

E l’espressione impropria, “oncia di carlini 3” sta per quella più giusta di “carlini 3 per oncia[9] e cioè di tre carlini del peso di un’oncia, giacché questa, prima di tradursi in moneta reale, in moneta pezzo, quale fu l’oncia d’oro per la Sicilia e Napoli[10], e d’argento per la Sicilia[11], fu misurata di peso; ed infatti, in carte dell’epoca cui ci riferiamo, si parla di once di grana 30, 40, 50, ecc. in luogo cioè di grana 30, 40, 50 ecc. del peso di un’oncia.

Interessantissima è la lettura di questi catasti carolini, giacché, oltre ai dati statistici che si ricavano intorno alla popolazione, alle possidenze, alla proprietà terriera ed edilizia, all’economia insomma dell’Università, altri se ne ricavano indispensabili a chi voglia rendersi edotto delle condizioni morali, sociali, intellettuali delle popolazioni del tempo, e delle rurali in specie, lasciate in balia di signorotti e di preti ignoranti e licenziosi.

Ricerche, intese a raccogliere le Memorie Istoriche di Pignataro, mi facevan venir per le mani l’Onciario del Comune, dal quale ebbi a trar non poche notizie di non scarso interesse, specialmente per chi, a scopo di studio o per curiosità, voglia riandare questo non lontano ma in felicissimo passato di nostra gente, avvilita, abbrutita, angariata dallo governo vicereale, dalle sopraffazioni feudali, dagli arbitrii subdoli del pretume imperante, dalla ignoranza e dalla miseria e, conseguentemente, dalla delinquenza allarmante[12]; piaghe sociali gravissime, a curare le quali volle provvedere e provvide il re riformatore e benefico.

Il Catasto di Pignataro è costituito da un grosso volume in foglio, legato in pergamena, di oltre 300 pagine di spessa e rugosa carta, sul cui frontespizio, a grosse lettere manoscritte, leggesi il titolo: Libro del General Catasto seu Onciario di Pignataro di Capua[13] formato nell’Anno 1754; e sotto, in minuti caratteri il distico invocativo:

 

Quod oppositum est, et apponetur

Christus benedicere dignetur.

 

Comincia quindi, in prima pagina, l’elenco dei contribuenti disposto per ordine alfabetico dei nomi di battesimo. Il numero complessivo di cittadini è di 1450,[14] comprese 16 famiglie (persone 17) di forestieri residenti, i quali, oltre la tassa di testa ed industria, erano gravati anche di quella dell’jus habitationis. Questi forestieri residenti rispondono ai nomi di Sellitto, Marcello, Polsella, Attanasio, Vinciguerra, Rosso, Forese, D’Arena, De Falco e Chioro. Nell’elenco in parola, contraddistinti dal titolo di magnifico, leggonsi i nomi degli amministratori del tempo [reggimentari], detti altre volte Magnifici del Reggimento, i quali insieme ai Sindaci ed ai Giudici reggevano l’Università. Ecco i nomi dei magnifici pignataresi nel 1754: Andrea Villano, Crescenzo Vita, Francesco Martone, Diego Di Jorio, Felice Bonacci, Not. Felice Canzano, Not. Francesco Barricelli, Giuseppe D’Alvina, Giuseppe Bonacci, Giuseppe Todesco, Giorgio Vito, Lorenzo Di Jorio, Dott. Giuseppe De Vita, Pietro Villano, Michele Palmesano, Nicola Nacca, Dott. Nicola Bonacci, Nicola De Vita. Due o tre nomi, a fine della prima pagina, sono illeggibili e può darsi che alcun altro sia di magnifico.

Dal Catasto si apprende che la popolazione contava: 80 vaticali[15]; 36 bracciali; 38 massari; 22 garzoni di campagna: 6 vettorini[16]; 4 trainanti[17]; 6 negozianti d’animali; 6 negozianti di neri[18]; 6 ogliarari; 7 bottegai lordi[19]; 3 sartori; 4 ferrari; 3 barbieri; 6 calzolai e 4 solachianelli[20]; 3 falegnami; 2 zagarellari[21]; 1 manuale; 1 ortolano; 1 guardiano delle giumente di S. M.; 1 guardiano di neri; 1 castratore di pecore; 1 merciaiuolo[22]; 1 barrecchiaro; 1 pettinarolo; 1 tintore di cappelli; 1 maccaronaro; 1 sacrestano.

Nella classe elevata della cittadinanza contavansi 2 speziali di medicina; 2 dottori fisici[23], di cui – il magn. D. Antonio Canzano – in pratica di dottore in Napoli; 1 medico e chirurgo D. Saverio Barricelli; 5 Notari, 2 agrimensori, 28 ecclesiastici, 3 studenti in Napoli; 2 seminaristi, 2 novizi, 1 suora e 25 vezzoche;[24] 1 musico nel Conservatorio di Napoli.

I Corpi religiosi erano rappresentati da: 1) la Cappellania laicale di S. Maria dei Dolori, di proprietà delli Todeschi perché fondata dal Can.co D. Michele Todesco; 2) la Cappella del Corpo di Cristo; 3) la Cappella del Monte dei Morti; 4) la Cappella di S.Giorgio, con annessa la Cappella del Purgatorio ad uso di Collegiata; 5) la Cappella del Soccorso; 6) la Chiesa di S. Maria della Misericordia; 7) la Cappella di S. Rocco; 8) la Cappella di S. Francesco di Paola; 9) Capitolo di Calvi; 10) Beneficio sotto il titolo di S. Giovanni a Sauciano; 11) Beneficio sotto il titolo dell’A.G.P. di Pignataro, de juspatronato delli Vita; 12) Beneficio sotto il titolo di S. Maria del Carmine, de juspatronato delli Borrelli.

Tra i maggiori contribuenti figurano il magn. Andrea Villano, tassato per once 945,10; Giorgio D’Elena, vaticale, per once 829; il magn. Giuseppe Todesco del quondam fisico Pietro, per once 711,22; il magn. Nicola Vito per once 681,8; Domenico Femiano, vaticale, per once 592,10. Vengono poi, in ordine decrescente, il Rev. D. Vincenzo Nacca, Felice Bonacci, massaro, il Mag. D. Vincenzo Vito ecc. ecc.. A parecchi, invece, degli elencati, o perché inabili alla fatiga (sic) o perché storpi, ovvero perché oltre i 60 anni, non si carica industria, mentre ad altri (civili) non si carica testa perché viventi del proprio.

Dalla Collettiva Generale, a fine del volume, si rileva come la Cittadinanza di Pignataro contribuisse per un totale di once 14711,25; distinte in: once d’industria 4248; once di beni 9480,13; once di vedove e vergini in capillo 759,21; di Chiese, Benefici e Cappelle 113,10; di forestieri abitanti laici 55,20.

È dato inoltre apprendere da quest’importantissimo documento il Bilancio attivo e passivo dell’Università nei suoi più minuti particolari. Rileviamo infatti che, compresa la tassa di bonatenenza dei forestieri non residenti laici,[25] il contributo erariale dell’Università – giusta la fede fattane dal Cancelliere del Catasto di Capua per i forestieri bonatenenti, e la liquidazione della Percettoria di Terra di Lavoro per i forestieri residenti e pel totale dei fuochi[26] - ammontava a duc. 174,89[27].

Ai quali andavano poi ad aggiungersi, come da Pubblico Parlamento, i seguenti annui pesi: Alla R. Corte per la resta del debito della città di Capua, duc. 255,88; mesate alla squadra del Tribunale di Campagna duc. 30,72; al possessore dell’Ufficio della Portulania, e per esso alla fed.ma città di Capua, duc. 30; all’affittatore della zecca duc. 22; alla città di Capua, pel 3° del vino, duc. 7,30; all’affittatore della caccia pel traggiare le stocchie, duc. 2; alla R. Fortificazione di Capua duc. 70; alla R. Corte per i nuovi quartieri duc. 75; al Ricevitore per provisione duc. 12; all’Intendente in Napoli duc. 10; all’avvocato in Capua duc. 10; al curato duc. 10 per elemosina al Convento di S. Pietro d’Alcantara (oggi di S. Pasquale) duc. 36; per la festa di S. Giorgio protettore duc. 12, ecc. ecc..

L’attivo dell’Università era rappresentato da duc. 49 ½ , dovuti dai forestieri non abitanti per la tassa di bonatenenza; duc. 24 dovuti dai forestieri abitanti per l’jus habitationis; ducati 94 per i forestieri bonatenenti abitanti laici; duc. 78,65 per la tassa delle teste; duc. 425, rendita dei corpi proprî dell’Università, cioè l’affitto della montagna, cese e lavorandone (d. 150), del macello e tomolo (d. 65), delle botteghe lorde (d. 150), del forno (d. 50), della neve (d. 40).

Dal finale conteggio si rileva come l’Università disponesse, per quell’anno, di un capitale di duc. 9,48 ½ , da servire, dice l’Onciario, « pei bisogni straordinari », i quali invero non doveano essere troppi, come non troppi erano gli ordinarî, se togli quelli… spirituali, da cui maggiormente sembra fossero assillati i buoni Pignataresi del regime carolino…

 

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[1] V. Colletta, Storia del Reame di Napoli, vol. I, p. 25 ss.

[2] Alludiamo ai Codici Carolini; alle varie istituzioni culturali ed all’edifizio degli Studi in Napoli all’Albergo dei poveri; al Molo, al Palzzo di Caserta ed a quelli di Portici e di Capodimonte; ai Ponti della Valle; agli scavi di Ercolano, ecc. ecc.

[3] L’Abate Antonio Genovesi (1712-1769), filosofo ed economista eminente.

[4] Bernardo Tanucci (+ 1783), Ministro di Stato e professore di Diritto.

[5] Nel solo Stato di Napoli contavansi 22 arcivescovi, 116 vescovi, 56 mila preti, 51 mila e 800 frati, nonché 23 mila e 356 monache: un totale cioè di 110 mila ecclesiastici!

[6] Qualche Autore trovava il nome originato da uno speciale Catasto esistente, nella R. Camera della Sommaria, nel quale erano indicate le once di ciascun contribuente (V. L. Giliberti, in Bollettino del Circolo Numismatico Napoletano, Anno 1921, fasc. I, p. 36); ma noi abbiamo sopra accennato come anche nei Catasti Comunali il computo fosse in once.

[7] Il Concordato stabiliva che la Chiesa pagasse pei suoi beni metà dei tributi comuni, e per quelli di nuovo acquisto l’intero; che dal patrimonio del Clero restassero escluse le proprietà laicali con quello confuse per malafede od errore: le franchigie ecclesiastiche ridotte; i lavori d’uso revocati.

[8] Il Concordato stesso, rimasto sospeso per la morte di Clemente IX, fu accettato nel 1739 da Benedetto XIV.

[9] Cfr. Giliberti, o. c., p. 35.

[10] L’oncia d’oro fu fatta coniare in Napoli da Carlo III nel 1749: essa, del valore di ducati 6, pesava trappesi 9 ed acini 17 ½ e fu conformata all’oncia d’oro di Sicilia. Cfr. Giliberti, o. c., p. 34.

[11] L’oncia d’argento, equivalente a 30 tarì d’argento, del peso originario di gr. 63,625, fu fatta coniare a Palermo nel 1733, da Carlo VI d’Austria.

[12] “Nella sola città di Napoli il censo giudiziario numerava 30 mila ladri; gli omicidi, le scorrerie, i furti violenti abbondavano nelle province ecc.” Colletta, o. c., vol. I p. 25.

[13] L’Università di Pignataro dipendeva fiscalmente dal Circondario di Capua, come rilevasi dalle Conclusioni dell’Onciario.

[14] Nel 1812 abbiamo abitanti 2191; nel 1832 abitanti 2916; nel 1911 abitanti 4849.

[15] Piccoli commercianti.

[16] Noleggiatori di asini (vetture).

[17] Carrettieri-negozianti.

[18] Negozianti di maiali (neri).

[19] Salumieri.

[20] Carpentieri.

[21] Merciai.

[22] Venditore di frattaglie.

[23] Medici.

[24] Pinzocchere.

[25] In ragione di carlini 15 per forestiero.

[26] In ragione di carlini 42 per fuoco (famiglia).

[27] Nell’ultima situazione Pignataro, « compresa nel pieno di fuochi di Capua », era tassata in quel Catasto per fuochi 121.