Michele Russo
Breve statistica di Alvignano di Pasquale Iadone
(in Annuario ASMV 1991, pp. 227-238) senza note
La ricerca delle fonti rappresenta il primo, e più difficile, compito per chi si occupa di storia.
Il problema si pone soprattutto a chi si appresta a scrivere di storia locale. I piccoli paesi, che pur sono testimoni della storia, non sono stati quasi mai oggetto di interesse per gli storici del passato, né sono molti i documenti che permettono la ricostruzione degli avvenimenti.
Queste considerazioni mi hanno spinto a pubblicare un interessante documento, redatto tra la fine del diciottesimo e i primi anni del diciannovesimo secolo, relativo al comune di Alvignano.
Si tratta di una “Statistica di Alvignano” redatta dal canonico Pasquale Iadone che, come tutti gli altri suoi scritti, non fu mai pubblicata.
A mio avviso questo documento ha una duplice importanza: oltre a trattare diffusamente di Alvignano all’epoca in cui scrive, Iadone dà alcuni cenni storici su Combulteria, anticipando così di un trentennio conclusioni di Pasquale De Jorii.
In alcuni punti l’autore commette delle inesattezze storiche, e ciò sicuramente perché la stesura dello scritto non è quella definitiva; per tale motivo, pur trascrivendo il testo integralmente, ho aggiunto delle note laddove si è reso necessario fare delle precisazioni.
La “Statistica” come tutte le altre opere di Pasquale Iadone, merita sicuramente di essere pubblicata. E ciò perché questi suoi studi, oltre a rappresentare degli utilissimi strumenti di partenza e di confronto per chi intende compiere ricerche storiche sui paesi della nostra diocesi di Caiazzo (di qui la necessità di evitare che essi vadano irrimediabilmente perduti), servono a rendere a questo illustre studioso la meritata gloria. Questo in sintesi il compito che mi sono posto. E mi sento appagato di ciò, sicuro di avere reso un servigio alla storia.
BREVE STATISTICA DI ALVIGNANO
Alvignano ebbe origine dall’antica città di Combulteria. Questa città era sita dove oggi si vede la chiesa rurale di S. Ferdinando; era mezzo miglio al Nord-Est di Alvignano; quivi si osservano rottami e rudera, residui di tempj, are, e crittoportici; e non già nel luogo detto Composta due miglia all’est di Alvignano, dove non si osservano segni alcuni di antichità. Fu un’antica Città del Sannio abitata dagli Osci, e sin da’ tempi di Annibale era molto florida e civilizzata; avendo i suoi Decurioni, Questori, Duumviri, Quinqueviri, Augustali, ed altri Ministri del Culto e pubblici Officiali; avea delle nobili ville; delle quali una sita dove oggi è l’Arcipretale Chiesa di S. Sebastiano fu di un certo Albino il quale fu benanche Curatore, e Patrono della Repubblica Combulterina (come dall’iscrizione) i di cui maggiori nella distruzione di Alba, non volendosi ritirare in Roma, si rifugiarono nel Sannio, per di poi ne’ secoli trovasi il nome alla Terra di Alvignano. Nel terzo secolo Fabio ristoratore di Allife l’ampliò, e ne rifece le mura.
Nell’ottavo secolo fu Combulteria distrutta da’ Barbari; e parte degli abitanti si ritirò intorno la villa di Albino, dove su di una piccola collina fabbricarono un castello: donde ne surse Alvignano; e buona parte di essi si ritirarono cogli abitanti di Monte Claro, oggi Dragone.
Rimase nelle rudera di Combulteria un piccolo numero di abitanti col nome di S. Maria di Combultere; e poi di S. Maria a Cornelli; ed essendosi anche questi ritirati in Alvignano circa il decimo terzo secolo, si fissarono ove oggi è il casale de Cornelli, e si nominò tal luogo S. Ferdinando. Nel 1285 gli abitanti di S. Maria a Cornello, che erano dell’utile dominio della Mensa Vescovile vollero conciderne coll’Università di Cajazzo nella contribuzione delle Collette da imporsi dalla Regia Curia.
La terra di Alvignano si vede fabbricata al Nord-est delle radici de’ monti un tempo detti di Combulteria, e viene oggi formata da undici piccoli Villaggi poco discosti l’uno dall’altro, e disposti in una linea serpeggiante lunga circa un miglio, e mezzo; e sono principiando da Sud-Est, e terminando al Nord-Ovvest li Caprarelli, Resignano, Notarjanni, Faraoni, Angiolilli, Notarpaoli, S. Nicola, Petrilli, Cornielli, Piazza, e S. Mauro: e di questi Caprarelli, Resignano, e la Piazza sono in sito più elevato, e gli altri nella pianura. Quasi tutti prendono il nome dalle prime famiglie, che li abitarono.
Alvignano è nel grado 41.14 di latitudine di longitudine 90:39.21 dal
meridiano dell’isola del Faro; Secondo il meridiano di Parigi gradi 19:21. È
nel principio del sesto Clima settentrionale.
È sita nella Provincia di Terra di Lavoro al Nord-Est di Capua capitale
della Provincia. Da Napoli secondo la direzione della strada è distante miglia
28 da Cajazzo cinque; ed altrettanto da Piedimonte.
Generalmente l’aria è mezzana; in alcuni casalati è un poco cattiva,
perché occupata. Sarebbe migliore, se gli abitanti usassero più attenzione, e
vigilanza a tener fuori de’ casali l’industria degli animali, cacciarne presto
il letame; disseccare le poche acque che stagnano ne’ convicini valloni jemali;
e togliere il maledetto uso di seminare il canape nonché nei terreni convicini
e dentro degl’istessi casali.
Fabbricato il Castello di Alvignano, la popolazione era meschina, ed il
territorio ristretto, giacché nel decimo secolo, non esisteva altro, che S.
Maria a Combulteria, e il casale di S. Massimo, quello di S. Mauro, ed il detto
castello con poche abitazioni convicine. Crebbe però di molto la popolazione di
Alvignano nel decimo terzo secolo, e principiarono a fabbricarsi i Casali oggi
esistenti; non molto lungi da questi era il feudo di Stazano, che in detto
secolo si possedeva da Andrea Paldo, il quale vien chiamato dominus Casalis
Stazani de pertinentiis Albiniani. (nel Regest. 1272 litt. B fol. 185).
Dall’oriente, e mezzogiorno era limitato con feudi, oggi disabitati, di
Composta, di Canneto, e di Coluni. Il primo era, dove si dice Commosta, in di
cui pertinenza esisteva il castello delle Femmine, dove si dice il cerro:
Canneto era dove si dice il Fico vicino alla Massaria di S. Biagio de’ Sig.
Bencivenga: Coluni era all’oriente di Marciano Freddo, dove è la masseria de
Perroti. Tutti questi tre feudi sin dalla loro origine appartenevano a Dragone;
e ne erano padroni i Baroni di detta terra; così sotto Carlo I li possedeva il
Barone di Dragone Pasquale Diaz Garlon. Dall’Ovvest, e Nord confinava colla
terra di Dragone; dal Nord-Est col Volturno. In breve, Alvignano era ristretto,
e non molto popolato; ma tutto insieme il piano, ch’era al Nord-Est de’ monti
combulterini e saticulani, ed al Sud-Ovvest dal Volturno nel decimo terzo
secolo era popolatissimo, in guisa, che la terra di Dragone, luogo principale
di dotto piano, essendone padrone la casa Ruffo di Marzano ebbe il privilegio
di mercato. Ne’ secoli susseguenti per vari emergenze, e pel contagio pestoso
specialmente de’ secoli XV e XVI rimasero spopolati; ed il residuo degli
abitanti di Coluni, e di Canneto si trasferirono in Marciano Freddo, ed in
Majorano; e quei di Commosta in Dragone.
Per l’ultima convenzione fatta tra la Comune di Dragone, e di Alvignano
il suo tenimento si è molto esteso, essendosi uniti ad Alvignano le terre di
detti disabitati Feudi di Coluni, Canneto, e Commosta: quindi al presente
confina all’Est con Rajano mediante la Spinosa, e Selva piana; al Sud con
Cajazzo, e Marciano Freddo; all’Ovvest-Nord con Majorano, e Dragone: mediante
il ponte della castagna ed il vallone jemale delli Ferrari. Il tenimento oggi
si estende dall’Est-Sud all’Ovvest-Nord; la massima estensione è di circa miglia
tre; e la larghezza di miglia due, sicché contiene sei miglia quadrate.
La popolazione di Alvignano si vede tassata ne’ Regj Quinternoni nel
secolo XVI per fuochi 230 e nel 1669, cioè dopo l’ultima peste per fuochi 175.
Oggi vi sono fuochi 343, e fa anime 2400.
Le strade esterne sono nell’inverno inpraticabili, giacché cretose,
piene di fango, e fossi; dal Sud si entra per strada selciata, ma è più
pericolosa dell’altre, perché tutta scomposta: nell’estate poi sono alquanto
rotabili. Le strade interne sono tutte selciate, ma così malamente tenute, che
nell’inverno non senza pericolo, e difficoltà passarsi da un villaggio
all’altro. Le abitazioni sono ordinarie, e di due piani; eccetto pochissime che
sono di tre. Ci è la Chiesa A.G.P. di mezzana struttura, e tre Parrocchie, cioè
di S. Pietro, di S. Nicola, e l’Arcipretura sotto il titolo di S. Sebastiano.
Al nord di Alvignano nel luogo dov’era Compulteria si vede una Chiesa rurale
con un meschino eremitaggio; si chiama come si disse S. Maria a Convultere, e
perché vi morì nella metà del secolo undecimo e ci fu sepolto S. Ferdinando
d’Aragona, dal 1300 si nomò di S. Ferdinando. Non vi sono pubblici
Stabilimenti, eccetto una scafa primaria mantenuta a spese del comune.
Le guerre, l’epidemia, e l’aria non perfetta sono state le causali, che
han ridotto questi luoghi così populati alla meschina popolazione di anime
2400, cioè di anime 400 per ciascun miglio quadrato. I mezzi per ripopolarla
sarebbero 1° far cessare qualche malattia epidemica corigendo l’aria, con
mantenere puliti i Villaggi dal letame; disseccare l’acque stagnanti; e proibire
la semina de’ canapi vicino alle abitazioni; 2° dare più mezzi di sussistenza a
poveri contadini; per potersi nutrire in miglior modo, e vestirsi
mediocremente, e così resistere all’intemperie delle stagioni. 3° Se fosse
possibile far uso di acque buone, mentre la maggior parte sono sapide, e
colorate, come si dirà. 4° Con qualche privilegio, ed esenzione richiamarvi
altri abitanti da luoghi più populati della provincia. Così i campi saranno in
miglior modo coltivati, cresceranno i prodotti; e si addurrà il tutto al
primitivo splendore.
Gli Alvignanesi sono piuttosto sviluppati, che no; ma gli effetti non
corrispondono alla natura; mentre molti per la mancanza delle forze, ed altri
troppo amanti della vita comoda, ed alieni dal travaglio non fanno progressi
nelle scienze, ed arti. Inclinano per la maggior parte alla nobiltà, e
grandezza. La gente comoda è inclinata a negozj; e gli altri per le sole
necessità della vita attendono all’agricoltura; buona parte vuole vivere bene a
spese degli altri. Che che ne sia però i Galantuomini meritano di essere
riguardati come le persone più obbliganti, manierose, e civili di questi
luoghi.
Amano essi il buon governo, l’amore, il dicoro, e la grandezza della
Patria a proporzione della piccolezza dei luoghi vi sono stati buoni Professori
di Medicina, e di Legge, ma non di quella qualità, e numero, che ne
richiederebbe il loro sviluppo. Si vedono in essa terra più fabbri di ferro, e
di legno di qualche abilità; il più della gente, bassa e addetta
all’agricoltura; molti si esercitano nell’offizio di Vinticali; e pochi alla
pastorizia. Il loro costume è un poco comodo, secondo corre il secolo.
Vi si professa la Religione Cattolica, come in tutto il regno; ma in
buona parte delle donne si vede un bigottismo, che tende alle superstizioni; e
negli uomi tutto il contrario; nella gente di campagna si vede una religiosità
più soda.
In generale il suolo de’ piani, e de’ monti è cretoso, o arenoso o
argilloso; in pochi luoghi montuosi si vedono massi di pietra calcarea
stratificata; in alcune parti, che sono alle radici di essi si vede una creta
balestrosa cioè mista con brecce calcaree. Nella Sagliotella e colline
adiacenti si rinvengono in mezzo alla creta de’ ciottoli di quarzo, di selce, e
di granito, e nell’interno molte pietre pomici. Pochissimi terreni sono di
buona terra vegetabile; l’altezza di tal terra generalmente è di niun conto; in
poche parti è di mezzo palmo; in pochissime è alto e passa i due; vi predomina
la silice, l’argilla, il quarzo, lo spato, e più di tutto la mica, e l’arena da
fabbrica, vitroscibile.
Gli strati interni de’ monti, e di colline sono o di pietra calcarea, o
di creta, o di ottima argilla. Nel piano i strati più interni sono
alternativamente di varie specie di arena per lo più da fabbrica; di tufo di
varj colori, di piperno, di gesso; o di torba, ossia terra formata da corpi
organici corrosi. A questi sono sovrapposti strati potenti di creta; di
argilla; di terra arenosa; di torba, come si osservano nella strada delle
fontanelle; benché in detto luogo i corpi organici sono quasi intieri, in altre
parti formano una terra leggiera, friabile, e filamentosa; si osservano per
lungo tratto strati di terra detta volgarmente ferregna, o sia di argilla
silicea mista con ossido di ferro; ed il gesso; e quest’ultimi sono estesi.
Da quanto si è detto del suolo sembra deciso essere detto suolo di
primaria origine; ma di secondaria formazione, nato dalla scomposizione del
granito sotto l’azione dell’acque; mentre vi è quarzo, spato, e mica principali
componenti del granito: quindi deve dirsi essere suolo di data molto vestusta.
Il tenimento di Alvignano e quasi per la metà montuoso. Alle spalle di
detta Terra Sud-Ovvest vi sono i monti detti Monte Cardillo, Castagna de’
fratelli, che sono limitrofi a Majorano di Monte, e Marciano Freddo; alle
radici di questi vi sono alcune colline, che sovrastano ad Alvignano. All’Est
di detta Terra si vedono il collinoso bosco della Spinosa, di Commosta, e Selva
piana, che la separano dal tenimento di Rajano. L’interna struttura di detti
monti per quanto si è potuto osservare dall’alte rupi, che si vedono in diversi
luoghi, a della profondità, che diremo, è o di creta, o di pietra calcarea
stratificata.
Nella collina detta Dragoncelli all’Est di Alvignano vi è una
profondità o sia voragine, la di cui bocca è di figura bislunga irregolare,
larga circa palmi otto, e lunga dodici; con esuberanze, e vuoti corrispondenti
di pietra calcarea; non se ne sa il fondo: nel monte, ch’è all’ovvest della
chiesa di A.G.P. ve n’è un’altra, la di cui bocca è molto più larga della precedente,
e si accosta al circolare e non si sente il rumore del fondo buttandovi qualche
corpo. Si credono essere originate dall’acque.
Le materie vulcaniche, che si rinvengono in questi luoghi, come il tufo
con corpicciuoli bruciati per entro, l’arena, qualche pezzo di basola,
c’indicano esservi stato qualche Vulcano in tempi remotissimi; giacché
l’interna struttura de’ monti presenta la pietra calcarea stratificata mostra
di essere stati questi monti posteriori a Vulcani; e nati da qualche
deposizione molto rimota di acque, quale sarà stato il diluvio universale.
In dette monti vi sono quantità di cerri, platani, aceri, orni,
frassini, carpini; qualche piede di quercia; acrifogli, cornioli, corbezzoli,
ossiacanto, terebinto, peri, e meli selvaggi, ginestra ossia pianta le di cui
radici sono ottime per la tinta gialla, castagne, elci, ed altri arbori e
frutici; sulla collina del Castello vi nascono spontaneamente le giugiuole.
Nei piani poi vi allignano querce, olmi, pioppi, noci, cerasi, pera, e
mela: vi sono terreni arbustati; come lo sono pure le colline al Sud-Ovvest;
dove si osservano pure degli oliveti. Vi allignano, e cereali, e ortaggi, ed
erbe selvagge; fra le quali molte sono medicinali; che sarebbe lungo numerare.
Sulle colline della Spinosa vi è l’erba detta sulla, o da’ paesani Taurina;
molto nutrisce gli animali.
Tutto il piano e buona porzione di colline sono coltivate; tra quali si
vedono de’ luoghi paludosi, o per uso di fenili. Essendo il tenimento di
Alvignano di circa sei miglia quadrate, contiene circa 6666 moggia di terra di
passi novecento l’uno; di questa poco meno di due terzi sono coltivate, e
l’altra è boscosa, e piena di fratte, e pietre.
Le acque si attingono da pozzi; e sono in buona parte di cattiva
qualità, sapide, e colorite, come fossero lattiginose; e questo a cagione de’
strati interni di selenite o gesso, che predomina in detti luoghi. Nelle
campagne vi sono de’ piccoli fonti di acque sorgenti; ma di niuna
considerazione.
Si osservano diversi piccoli valloni, o siano torrenti jemali; due sono
i più grandi; il vallone de’ Ferrari, che divide Alvignano da Dragoni ave il
corso poco più di un miglio: Il vallone poi detto della Commosta è di qualche
considerazione. Principia questo a N.O. di Majorano di Monte dalla Chiesa
A.G.P. passa per la valle di detto casale; poi pel Monte grande, o S. Angelo
dove si chiama Fruscio; indi dopo il corso di circa miglia cinque giunge al
ponte delle Tavole; dove riceve l’acque del Vallone de’ Patriarchi; solica il
tenimento di Cajazzo, e dirigendosi al Nord s’introduce e seca il tenimento di
Alvignano, chiamandosi sempre il vallone della Commosta; e dopo il tortuoso
giro di altre quattro miglia, accolte le acque di altri piccoli torrenti si
mescola col fiume Volturno al di sopra della Scafa di Piedimonte, dove si dice
il cerro. In tempo delle piene riceve un grande incremento, ave un colore
rosso; e spesso spezza, e fracassa alcuni de’ cinque ponti, che gli sono sul
dorso devastando le campagna contigue.
Nell’esta’ ricevendo l’acque di più piccole sorgive ne corre con
placido corso come un fiumicello; e perciò forma pochi ristagni: quali sono più
frequenti negli altri valloni; e perciò infettano un poco l’aria. Non vi
mancano in questi valloni de’ piccoli pesci, ed anguille, e specialmente in
quello della Cornella.
Gli abitanti per la maggior parte s’industriano alla coltura de’ campi,
da quali ne ritraggono buoni vini asprinj, poco oglio, molto granone, grano,
orzo, biada, lupini, qualche quantità di legumi: pochi sono addetti alla
pastorizia di vaccine, pecore, e capre, e molti a quella de’ verri.
S’industriano anche nell’officio de’ Vinticali.
Le donne per lo più si esercitano o alla campagna, o alla filatura di
canape, e lino; e ne tessono tela sufficiente a bisogni degli abitanti. I
prodotti de’ campi sono il quarto, o il quinto dell’agro Campano per ciascun
moggio.
Vi sono poche razze di vaccina pochissime di giomenta, e di pecore;
molte di capre e verri. Vi sono molti somari; le donne hanno la cura di
multiplicare i polli tanto domestici, che d’India, o siano Pinti.
Sogliono gli Alvignanesi aver specialmente commercio con Piedimonte,
Cajazza, Caserta, e S. Maria dove portano a vendere varj cereali superflui,
legumi, noci, ed altri frutti e porzione di salami; e ne comprano i generi a
loro necessarj.
Essendo circa quattro mila moggia di terra coltivata a quattro a
moggio, producono circa sedici mila tomoli di cereali; de’ quali 2300 persone,
dandone cinque tomoli per ciascuno, ne consumano circa tomoli undicimila, e
mezzo; l’altro resto di tomoli cinquemila lo rifondono a paesi con quali
commerciano; come pure qualche porzione di salame, o di frutta; polli, cuoja, e
vaccine.
Sogliono importarsi poi da’ detti luoghi convicini, panni di lana,
setarie, tela fina, cuoj accomodati, formaggi pecorini; e buona qualità di
vino, giacché non basta quel che danno gli arbusti del luogo.
Ogni moggio di terra è composto di novecento passi quadrati, che
volgarmente si dicono passitelli; il passo lineare, radice, o sia lato di detto
passitello, è di palmi sette, ed un terzo napoletano. Benché volgarmente si
dice costare il moggio di trenta passi, o ciascun passo di trenta passitelli:
in tal caso il passo è un rettangolo, la di cui base è di un passo lineare, e
l’altezza di trenta passi lineari; e così tutto il moggio è pure 900
passitelli, o siano passi quadrati; ed è lo stesso, che il moggio napoletano.
La canna è di otto palmi, come la Napoletana ed ogni palmo si divide in dodici
once. Il braccio misura della tela è di palmi due, ed once cinque. Il tomolo,
misura de’ cereali, è uguale al napoletano, ma questo si divide in dodici
parti, che si chiamano coppe; e quello di Majorano in dieci coppe, ciascuna
delle quali contiene una coppa napoletana più una quinta: ogni coppa si divide
in due misurella. Il barile è la misura del vino, e contiene sessanta carrafa;
ogni carrafa è di ventott’once napoletane di peso. L’oglio si misura collo
stajo e colla misura; ogni stajo costa di sedici coppe; ciascuna coppa pesa due
libre, di undici once l’una, o sia di due terzi; sicché una coppa, e mezza pesa
un rotolo napoletano; ed ogni stoja eguaglia rotoli dieci, e due terzi:
ciascuna coppa si suddivide in sei intervalli. La misura contiene sei coppe.
Ne’ rimoti tempi Combulteria fu una città della repubblica sannitica:
quindi fu Municipio de’ Romani; poi per essersi resa ad Annibale fu soggettata all’ignominioso e povero stato di
Prefettura; dopo fu Colonia; come perseverò sino all’invasione de’ Barbari. Nel
secolo quinto come Benevento, Alife, e Cajazza soggetta a Goti. Nel secolo
sesto occupato Benevento, Capua, ed altri luoghi da Longobardi sotto la
condotta del Re Albuino, i popoli Combulterini furono uniti a Cajazza, che era
una delle trentaquattro Contee aggregate al Ducato di Benevento; e così si
governò con leggi Longobarde, per lo spazio di trecento trent’anni, cioè fino
all’anno 890 quando i Greci s’impossessarono di Benevento, e delle sue Contee.
Distrutta intanto Cubulteria, e fabbricato Alvignano, ed unito il Contado di
Benevento a quello di Capua nell’anno 900, dipesero gli alvignanesi e gli
abitanti tutti della desolata Città, dal Contado di Capua, come era dipendente
Cajazzo.
Non si saprebbe positivamente individuare il tempo, in cui principiò ad
esser un feudo particolare, e diviso. Ciò dové succedere prima del decimo
secolo; giacché in detto secolo come si è accennato al n. 6, si fa menzione di
Andrea Paldo padrone di Stazana in pertinenza di Alvignano, che ebbe lite con
Pietro Pollerio padrone di essa Terra. Nell’istesso secolo il Vescovo di
Cajazzo era utile Padrone del Casale di S. Maria al Cornello. Poi per lo più fu
posseduta dagl’istessi conti della convicina Terra di Dragone. Quindi dette due
terre furono in possesso per più secoli dalla casa Ruffo di Marzano, ed
avendola questi perduta per fellonia fu venduta dal Re Ferdinando al Conte di
Alife Pasquale Diaz Garlon: nel 1541 passò alla famiglia Martino; da questi ad
Origlia, poi ad Acquaviva sino al 1617. Matteo Andrea Acquaviva vendé Dragone,
ed Alvignano a Giulio Cesare Capece per ducati 53.000 come nel Quinter. 60 fol.
186 ed in detto Quint. Così ne vengono numerati i Casali: Majrano, S. Marco, S.
Iorio, Corte di S. Sebastiano, S. Nicola e S. Pietro. Capece nel 1622 vendé
detti casali a Marcantonio Palumbo i quali tutti nel 1678 ad istanza de’
creditori furono venduti per ducati 28.000 ad Antonio Gaetano Duca di
Laurenzano; qual famiglia attualmente possiede.